Dell'articolo postato da Francesco
https://csifinanza.forumattivo.com/t956p830-dati-macroeconomici-e-news-di-mercato-tomo-13mi ha colpito questa frase:
Today, Serres says, everyone’s head is on the table in the form of their computers. “You have been decapitated!” he tells his French audience.
e mi ha fatto ricordare un recente articolo che avevo letto su adolescenti e tecnologie che
vi propongo.
ps: aprite anche il link, ci sono immagini interessanti.
Fragili narcisi
di Davide Zanichelli @davide72z
Sabato scorso ho partecipato ad un seminario organizzato da Comune e Provincia di Verona intitolato “Adolescenti e Internet”.
Ho deciso di andarci per tre motivi: ho un figlio preadolescente (13 anni) che riceverà presto il suo primo smartphone; mi occupo per mestiere di nuove tecnologie da circa vent’anni; infine, ma non ultimo, per i miei figli ho scelto un percorso educativo in cui l’informatica non entra in classe prima dei 14 anni. Insomma ero in attesa di risposte su diversi fronti.
Questo il panel dei relatori: psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri e un esperto di tecnologie applicate ai modelli formativi. Diciamo dunque che, nonostante la neutralità del titolo, l’intento era quello di trattare le forme di disagio e le patologie generate dai cosiddetti new-media, che di “new” ormai hanno ben poco, soprattutto se consideriamo che le nuove generazioni si confrontano “naturalmente” con queste tecnologie, avendole disponibili nel loro “paesaggio cognitivo” fin da piccoli. Per i 40enni di oggi è diverso. Noi all’adolescenza siamo arrivati senza dispositivi che consentissero una connessione 24x7 con il nostro sistema relazionale e affettivo. D’estate si scrivevano e si aspettavano lettere e si facevano file all’unica cabina del campeggio sperando, quando arrivava il tuo turno, di trovarla in casa perché quello era l’unico appuntamento telefonico della settimana. Si viveva anche senza l’illusione del controllo totale e pervasivo a cui spesso gli adolescenti oggi si sottopongono reciprocamente.
Dalle relazioni che si sono susseguite sono emersi molti spunti interessanti, che non riassumerò per non cadere in un eccesso di banalizzazione divulgativa di temi ed esperienze molto complesse – e in alcuni casi drammatiche – che mal si prestano ad una sintesi non specialistica. Vorrei invece sottolineare una contraddizione molto forte tra le due famiglie di relatori: da un lato l’approccio “sanitario” che ha sottolineato i rischi di una relazione insana tra sviluppo della personalità e utilizzo della tecnologia; dall’altro l’approccio “scientifico-formativo” strapieno di tecno-entusiasmo per cui tra qualche anno non esisteranno più libri, sarà totalmente inutile dover apprendere la scrittura manuale, le aule saranno nodi di una grande rete mondiale di “intelligenze collettive” e il maestro dovrà trasformare il suo ruolo da “istruttore” (giuro, sulle slide dello scienziato della formazione c’era scritto così) a “coach”.
Al netto delle generalizzazioni che le scienze sociali necessariamente operano, qual è il ritratto dei giovani di oggi? E quale quello dei loro genitori? Forse da loro bisogna partire. Figli a loro volta di una generazione che negli anni 60-70 si è ribellata all’autorità del padre e della norma, il genitore quarantenne-cinquantenne di oggi ha un unico totem: la salvaguardia della relazione con il figlio. Una relazione che si instaura ancor prima di nascere: in quanti album di famiglia la prima foto del pargolo è un’ecografia prenatale! Si è passati cioè dall’adolescente-Edipo (“uccidere il padre” significava affermare la propria identità, affrancarsi dalla colpa mediante uno scontro portatore di salute) all’adolescente-Narciso, dove fin da piccoli i bambini sono al centro di ogni attenzione, finalizzata alla valorizzazione di talenti che molte volte si rivelano proiezioni di attese o ambizioni deluse dei genitori stessi. L’identità non si forma più mediante lo scontro con l’altro da sé, perché il sé è più importante dell’altro.
Gustavo Pietropolli Charmet analizza questo profilo nel suo Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi: “Il nuovo adolescente è un Narciso che ha bisogno di vedere riflessa la propria immagine nello specchio sociale, nel consenso del gruppo, nella valutazione dei docenti, nell’affetto della madre e del padre. L’evidentissima tendenza narcisistica di questa generazione appare collegata ai cambiamenti del modello educativo della famiglia degli ultimi decenni: adorato da tutti come «un cucciolo d’oro» e non più considerato come un «piccolo selvaggio da civilizzare» è stato cresciuto dai genitori con la convinzione che, in ragione della sua natura buona e per nulla antisociale, non serviranno castighi e regole, ma solo tanto affetto da parte di adulti che amano, proteggono, assecondano in tutto. Una particolare «fragilità» - caratteristica propria degli oggetti preziosi, unici e delicati - lo connota. Il bisogno di curare la loro bellezza li rende permalosi, esposti al rischio di sentirsi poco apprezzati, umiliati e mortificati da un ambiente che non dà loro il giusto riconoscimento. Quindi fragili perché esposti alla delusione derivante dal divario fra aspettative di riconoscimento e trattamento reale da parte di insegnanti, coetanei, genitori. Fragili perché addolorati dall’umiliazione e dal rischio di doversi troppo spesso vergognare del proprio corpo e della propria, a volte irrimediabile, invisibilità sociale. A sconcertare gli adulti è «l’ambiguo impasto» di questa fragilità con una singolare spavalderia: senza essere arroganti o rifiutarne l’autorità, gli adolescenti si mostrano indifferenti, inalberano nei loro confronti una sorta di «denigrazione preventiva»; esibiscono «il culto della propria persona in spregio alla deferenza attesa dagli adulti trasformati in spettatori». Tendono a sottrarre «credibilità e soprattutto … potere simbolico» oltre che agli adulti anche alle istituzioni; alla scuola, in particolare: l’istituzione alla quale più di tutte gli adolescenti di oggi hanno sottratto quasi totalmente il valore simbolico di cui godeva in passato è la scuola, ridotta a un edificio e un insieme di adulti deputati a erogare un servizio. Gli adolescenti di oggi entrano e escono dalla loro scuola con indifferenza e padronanza; non ne hanno paura, non si sentono in colpa se non hanno fatto i compiti. Ma nello stesso tempo non esagerano: sono solo spavaldi, non trasgressivi; non la attaccano, la sopportano, ma la scuola non deve esagerare. In questo porre un limite alle richieste onnivore della scuola esercitano un livello elevato di spavalderia. Così facendo, difatti, si liberano del potere segreto della scuola, che è sempre consistito nel sottrarre quasi tutto il tempo ai giovani, anche quando il portone è chiuso e professori e bidelli sono dediti ad altro. Gli adulti (siano genitori, insegnanti, educatori, poliziotti o allenatori …) ottengono rispetto, attenzione e confidenza solo se dimostrano di possedere competenza nelle relazioni, di conoscere il loro mestiere e di sapere spiegare bene a cosa serve la loro funzione.”
In questo mutato contesto culturale, familiare e scolastico come si inseriscono le tecnologie?
In modo devastante. Moltiplicatrici e acceleratrici di fenomeni, la tecnologie della comunicazione penetrano come una lama nel burro in personalità fragili. La tecnologia esclude il corpo, smaterializza il corpo come strumento di relazione e deterrente alla violenza: se un bullo si scontra con la sua vittima, il sangue o il dolore fisico della vittima determinano la sospensione della violenza. Negli episodi di cyber-bullismo, la violenza non ha preventivamente fine, poiché non c’è corpo, ma solo il fantasma di una presenza su cui posso infierire fino all’annientamento, come in un videogioco.
Per la formazione di una personalità sicura di sé e della propria identità è necessaria una relazione corporea ed animica in cui due IO si incontrino e, in età adolescenziale, si scontrino. Gli strumenti tecnologici non hanno un IO. Sono stati programmati da un IO, ma di esso non è rimasta alcuna traccia nel dispositivo, se non, appunto, il fantasma dell’originale. Per questo motivo le tecnologie non potranno mai sostituire un maestro nella sua classe, mentre potranno senz’altro potenziare le facoltà intelligibili (o sensi superiori), il pensiero in primis. Ma siamo sicuri che sia di questo che i nostri narcisi fragili hanno bisogno? Il pensiero non è che uno dei 12 sensi che Rudolf Steiner identifica, forse quello più stimolato in una spirale di precocizzazione dell’intelletto a cui anche le istituzioni sono spinte, prevalentemente da necessità di mercato: non si spiega altrimenti la proposta di anticipo a 5 anni dell’ingresso alle scuole elementari attualmente allo studio anche in Italia.
Incentivare l’utilizzo di dispositivi tecnologici in età precoce, significa da un lato potenziare il pensiero, dall’altro atrofizzare altri sensi non meno importanti per uno sviluppo armonico della personalità: il movimento, l’equilibrio, il tatto, il calore, l’odorato, l’IO. Il risultato sono ragazzi insensibili all’IO del prossimo.
Esercizio di matematica alla LIM
Lezione di matematica in una scuola Waldorf
Oggi, anche nella comunità scientifica che tanto sta a cuore ai professionisti dell’educazione, è abbastanza condivisa l’idea che non esista un’unica forma di intelligenza, quella logico-matematica (o pensiero astratto). I lavori di Howard Gardner sulle intelligenze multiple o di Daniel Goleman sull’intelligenza emotiva, testimoniano la necessità di approcciare l’educazione con nuovi alfabeti, come ad esempio quello del cuore, che parla al nostro sentimento o quello del fare, che parla alla nostra volontà. Razionalità, azione e compassione devono trovare terreno di sviluppo paritetico e armonico per generare un IO centrato e saldo nella sua consapevolezza: “Io ho un posto nel mondo”.
Scrive Steiner in Educazione del bambino e preparazione degli educatori: “Nel periodo che va dalla seconda dentizione alla pubertà, è di particolare importanza l’immagine spirituale o rappresentazione simbolica. È necessario che il giovane accolga in se i misteri della natura e le leggi della vita, possibilmente non in aridi concetti intellettuali, ma in simboli”. Simboli e immagini (i miti greci o quelli nordici ad esempio) consentono di parlare delle leggi della natura evitando ogni astrattezza concettuale. Quello delle immagini è un linguaggio che rafforza la vita emotiva del bambino, perché agisce sulla sfera del sentimento, non su quella dell’intelletto.
Dice Thomas Homberger, maestro di maestri Waldorf, in una sua conferenza: “Se nei primi anni di vita il bambino sviluppa soprattutto la capacità di prendere iniziative, nel secondo settennio sviluppa le facoltà sociali. Tutto ciò che ha a che fare con le emozioni è connesso alla sfera sociale. Non possiamo sapere quali caratteristiche avrà la società in cui vivranno i nostri bambini quando saranno divenuti adulti, possiamo però immaginare che le facoltà sociali acquisteranno maggiore importanza […] Nella scuola Waldorf si insegnano le lingue straniere fin dalla prima classe, non tanto per trasmettere in anticipo nozioni che si possono apprendere anche in seguito, quanto perché si vuole sviluppare la capacità del bambino di entrare nel sentire, nel pensare di un’altra persona. Uno scopo analogo ha anche lo studio della musica, inteso come uno dei maggiori strumenti di alfabetizzazione emotiva […]
Disegno alla LIM
Disegno a mano libera su lavagna in una scuola Waldorf
Nel terzo settennio, quando i ragazzi entrano nella scuola superiore, si sviluppa la capacità di giudizio. È questo il periodo in cui essi sono più sensibili al fascino del computer, e cioè di una intelligenza artificiale. Ma quella artificiale è un’intelligenza senza IO. Naturalmente, è bene fare delle distinzioni. Nel mondo adulto, il computer è uno strumento prezioso nell’assolvimento di molte mansioni: dalla contabilità alla realizzazione di un giornale, alla composizione di un libro … Ma al computer l’umanità ci è arrivata a conclusione di un lungo periodo durante il quale ha per prima cosa dovuto acquisire la facoltà di scrivere a mano. I bambini devono ripercorrere tutti i passaggi dello sviluppo dell’umanità, compreso quello che ha portato alla padronanza della scrittura. È importante che le lettere entrino a far parte di me, ed esprimano la forza della mia personalità […] Soprattutto nella scuola Steineriana, è necessario che i ragazzi imparino come funziona un computer, quali leggi vi sono incorporate, che cosa può fare. Il computer può accumulare ed elaborare dati, non può collegare realtà e giudizio. Certo, con il computer si può anche disegnare. Ma a differenza della matita e del pennello, che sono una prosecuzione del nostro IO, i movimenti a scatti di un mouse interrompono il cammino dell’IO. Quanto ai giochi, essi stimolano una reazione più che una vera azione. Non è la stessa cosa giocare a scacchi con il computer o con il proprio padre. Anche nel gioco vi è il rapporto fra un io e un tu. Il ragazzo si domanda: “Che cosa sta pensando mio padre, quale strategia seguirà?”.
Nell’ipotesi più ottimistica, ogni ora che il ragazzo passa di fronte a uno schermo è un’ora perduta per la sua educazione. Se le ore diventano molte, gli effetti sono ancora peggiori. Non vi sono ore da perdere, tante cose dobbiamo sviluppare insieme. Noi adulti possiamo proporre una infinità di attività: leggere la sera un libro insieme ai nostri figli, fare una gita in montagna… E se piove? Ricordiamoci quel proverbio tedesco che dice: “Non esiste il brutto tempo, esistono solo i vestiti sbagliati”. Se il tempo è bello la gita sarà un’avventura, se è brutto sarà un’impresa ancora più avventurosa da raccontare il lunedì a scuola.”
http://www.24emilia.com/Sezione.jsp?titolo=Fragili%20narcisi&idSezione=59695