Scommessa in Borsadi Maurizio Maggi
Guadagni
dal 5 al 20 per cento. Dai titoli petroliferi a quelli alimentari. Con
una preferenza per le piazze estere, Brasile in testa. Piazza Affari è
ottimista. Ecco come pilotare i risparmi nei prossimi sei mesi Borsa di Francoforte
Moderato nei toni ma plebiscitario nei numeri, l'ottimismo regna in
Piazza degli Affari. Tra gli e sperti sono davvero in pochi - tre
su 50 - a vedere le nubi addensarsi sulla Borsa italiana.
Dal
sondaggio effettuato da 'L'espresso' con l'obiettivo
di immaginare come andranno le cose nel futuro ravvicinato, emerge
un quadro abbastanza rassicurante. Oltre la metà del campione vede
il listino di Milano in crescita tra il 5 e il 10 per cento nel
giro di sei mesi, e per sei 'giurati' l'impennata potrebbe essere
persino più netta, dall'11 al 20 per cento. Anche se difficilmente
il listino di Milano potrà ripetere la rimonta avviata il 9 marzo
scorso: l'indice Ftse Mib, precipitato allora a 10.189 punti per
colpa della crisi finanziaria mondiale, è risalito ben sopra quota
23 mila.
L'impressione è che fino alla prossima estate il mercato azionario,
e non solo quello domestico, sarà volatile e non salirà in maniera
indiscriminata come nei mesi scorsi. "Lo paragonerei a un treno
destinato a proseguire la sua marcia, ma con qualche vagone che via
via si stacca", dice Luca Tenani, responsabile per l'Italia della
Schroders, per dare l'idea di quello che capiterà nelle settimane a
venire.
A spingere i probabili rialzi dei mercati azionari non è tuttavia
la previsione di una smagliante ripartenza dell'economia (bolle o
sorprese a parte): secondo il 70 per cento degli interpellati le
Borse potranno regalare buone soddisfazioni anche in presenza di
una ripresa economica modesta. E allora perché dovrebbero salire le
quotazioni? La spiegazione dell'apparente paradosso la fornisce un
altro capitolo dell'indagine: secondo il 72 per cento degli
intervistati, le Borse potrebbero far bene perché, di fronte ai
risparmiatori dotati di una media propensione al rischio, "mancano
alternative di investimento attraente".
Matteo Astolfi, responsabile per l'Italia di M&G Investments,
la pensa così: "Nelle prossime settimane il mercato potrebbe
ondeggiare e ci sarà chi monetizza il guadagno ottenuto. Però sui
sei mesi sono positivo e ancor di più sul medio periodo". E
suggerisce anche ai più restii di collocare almeno il 5-10 per
cento del portafoglio nell'azionario. Altrimenti quelli che della
Borsa non vogliono davvero sapere nulla - e neppure delle
obbligazioni delle aziende con i corsi che fluttuano ancor più
delle azioni se l'economia è in burrasca - devono rinunciare ai
sogni di gloria. In cambio dell'assoluta tranquillità, si devono
accontentare dei titoli di Stato di breve durata, che al netto
rendono poche decine di centesimi l'anno, oppure dei conti di
deposito offerti, soprattutto su Internet, da istituti come Ing
Direct, Chebanca! o Rendimax. Però, se non si è lesti nel cogliere
al volo le promozioni lanciate per brevi periodi, il guadagno netto
su base annuale non arriva al 2 per cento.
Ecco perché coloro che un minimo di inclinazione al rischio ce
l'avrebbero pure, soffrono: si rammaricano di aver mancato i rialzi
post-crack ma hanno paura di salire a bordo e di trovarsi subito
puniti dal dietro-front dei mercati. Quando la crisi pareva minare
le fondamenta dei giganti bancari e industriali di mezzo mondo,
starsene alla finestra con un rendimento del 2 per cento pareva una
scelta oculata. Ora che il peggio sembra alle spalle, s'ingrossa
l'esercito di chi si lamenta dei Bot che non danno niente, ma nutre
ancora sospetti sulle azioni.
È probabile che del ritorno di fiamma delle azioni, del resto, nel
recente passato non abbia beneficiato la grande massa dei
risparmiatori, rimasta alla finestra dopo il crollo cominciato
nell'autunno 2008. Anche se i fondi d'investimento azionari sono
tornati dopo anni ad avere una raccolta netta positiva (con le
nuove sottoscrizioni superiori alle richieste di rimborso), la
sensazione è che le titubanze a entrare - o a tornare - sulle
azioni permangano. "È vero, gli investitori privati mantengono
ancora ampie riserve di liquidità, per esempio nei conti correnti o
nei fondi monetari. Però noi ci attendiamo che una parte di queste
riserve venga progressivamente spostata su strumenti azionari",
afferma John Velis, capo delle ricerche sul mercato dei capitali di
Russell Investments.
E gli eventuali coraggiosi che sul riscatto dei listini ci
hanno scommesso, l'anno passato, maturando così significative
plusvalenze potenziali, cosa dovrebbero fare: intascare i guadagni
o conservare la posizione? Il campione, su questo argomento, ha
certezze meno granitiche: il 58 per cento pensa che non sia il caso
di vendere - proprio per la mancanza di alternative interessanti -
però c'è anche un 30 per cento di esperti che suggerisce di
portarsi a casa il gruzzolo, totalmente o almeno in parte. "La
finanza non è una scienza esatta, non consente certezze. A chi,
fortunatamente o abilmente, ha maturato plusvalenze su titoli o
fondi noi consigliamo, nel dubbio, di incassare", è la pragmatica
opinione di Giannina Puddu, presidente di Free & Partners.
Su una cosa c'è concordia: chi investe nel settore azionario non
può farlo soltanto in Italia. La Borsa di Milano, del resto, vale
all'incirca l'1 per cento della capitalizzazione globale delle
Borse mondiali. Fino a qualche anno fa, gli italiani puntavano sul
mercato di casa perché presumevano di conoscere le potenzialità di
un titolo. Con l'avvento delle forme di risparmio gestito,
soprattutto i fondi, questo fattore ha perso importanza. Il 60 per
cento degli esperti che hanno risposto a 'L'espresso' invitano
addirittura a piazzare oltre confine dalla metà in su del proprio
portafoglio azionario. Sorprendentemente, la brasiliana Bovespa
cattura il più alto numero di raccomandazioni, superando di
un'incollatura gli Stati Uniti. Eppure nel 2009, la Borsa di San
Paolo ha galoppato nel corso del 2009, mettendo a segno una
performance del 120 per cento, se calcolata nella moneta locale, il
Reais, e dell'83 per cento in dollari. "Qui gli analisti puntano a
un ulteriore rialzo del 20 per cento almeno", racconta da San Paolo
l'italiano Graziano Messana, capo di GM Venture, una società di
investimenti nell'industria e nella finanza, "perché il Prodotto
interno lordo crescerà del 5-6 per cento, l'inflazione è sotto
controllo e la politica stabile". Ormai quella brasiliana è una
piazza importante, con 385 società quotate e un controvalore pari a
poco meno di mille miliardi di euro. In Italia, per capirci, le
società quotate sono 296 e a fine 2009 capitalizzavano 296 miliardi
di euro. L'anno scorso ha debuttato a Milano, sul mercato
principale, una sola matricola, la Yoox, azienda italiana di
e-commerce: collocata a 4,3 euro a dicembre, è salita a razzo come
le esordienti dei bei tempi. In Borsa ce l'ha portata Stefano
Bellavita con la sua Eidos Partners, specialista nella quotazione
di nuove società, che dice: "Dopo due anni di magra, il 2010
potrebbe andare benino. Abbiamo allo studio 4-5 operazioni che
coinvolgono soprattutto aziende industriali, leader nei settori di
competenza e ancora controllate da singole famiglie". Una ripresa
degli sbarchi sul listino contribuirebbe senza dubbio a riaccendere
l'attenzione dei risparmiatori ma pure gli imprenditori nicchiano
in attesa di una maggiore stabilità.
Una piazza sui cui le matricole non sono mancate neppure nel 2009 è
quella di New York, la seconda preferita dai nostri interpellati.
Sostiene Nicola Pegoraro, direttore intermediazione e finanza di
Banca Carige: "L'economia statunitense è in netto miglioramento dal
secondo trimestre del 2009, con un ciclo economico che, rispetto
all'Europa, è probabilmente in anticipo di almeno 12 mesi.
Tuttavia, gli indici azionari, di solito anticipatori rispetto
all'economia reale, si sono mossi negli Usa solo marginalmente
meglio che in Europa, lasciando spazio ad ulteriori apprezzamenti".
Nonostante i pressanti inviti a guardare oltre confine, tuttavia,
il titolo che riceve maggiori consensi dal qualificato campione è
l'Eni, seguita a distanza dall'Enel. I due colossi dell'energia del
petrolio e dell'elettricità appartengono del resto al settore
energetico, che a sua volta fa il pieno di apprezzamenti. Anche sul
terzo gradino del podio si accomoda una società italiana, le
Generali, mentre la prima delle estere è la svizzera Nestlé.
"Riteniamo sottovalutata senza giustificazioni l'attuale quotazione
del titolo, visto che ci sarà una rilevante distribuzione degli
utili grazie alla cessione, per 28,1 miliardi di dollari, della
Alcon alla Novartis. Inoltre, Nestlé è assai presente sui mercati
emergenti dove stimiamo per il 2010 un aumento della domanda
interna di alimentari tra il 5 e il 7 per cento". Petrolio, latte
condensato, Brasile.
Stando agli esperti, insomma, chi ha i nervi saldi non ha che
l'imbarazzo della scelta, per un investimento da qui all'estate.
Peccato che qualche volta l'azzecchino, qualche altra no. È la
Borsa, bellezza.
ha collaborato Gianluca Schinaia