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"Il trucco è mettere in chiaro la differenza tra ciò che voi volete che accada e quello che sapete che accadrà."
"Il generale veramente eccellente è colui che cerca la vittoria prima della battaglia: non è bravo colui che cerca il combattimento prima della vittoria. Così un esercito vittorioso è tale prima ancora di combattere, mentre un esercito destinato alla sconfitta si batte senza speranza di vittoria."

 

 Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana

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rattleandhum
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MessaggioTitolo: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeMer 7 Apr 2010 - 11:46

Rossi: "Il capitalismo resta malato, nuove regole o sarà la fine"
Sul giro di grandi nomine: "La giostra non risolve i problemi. Da noi le regole
vengono fatte valere solo per le bagatelle. Le grandi questioni sono eccezioni"

MILANO - Professor Guido Rossi, a un anno e mezzo dal crollo di Lehman Brothers e dal collasso del sistema finanziario globale il Congresso americano e l'Europa non hanno ancora adottato alcuna nuova regola. Si va avanti come se niente fosse?
"Proprio così - sottolinea il giurista, ex presidente di Consob e Telecom - e la cosa peggiore è che viviamo ancora nell'ignoranza delle ragioni profonde della crisi e delle misure necessarie per far ripartire l'economia. Almeno però in America si è sviluppato un dibattito critico e speriamo costruttivo sul grande tema del capitalismo grazie a intellettuali come Richard Posner che dopo "Il fallimento del capitalismo" ora ha scritto "La crisi della democrazia capitalista", sostenendo cioè che la crisi economica sta diventando una crisi della democrazia".

Non c'è proprio alcun segnale all'orizzonte che possa far sperare in un'inversione di tendenza?
"Come al solito la produzione di nuove regole deve essere sollecitata dalla giurisprudenza. Una recentissima sentenza della Corte Suprema Usa presa all'unanimità ha riaffermato la "possibilità di contestare giudizialmente l'importo degli emolumenti quando essi risultano così eccezionalmente sproporzionati da non avere alcuna ragionevole relazione con le prestazioni reali, quando non siano stati stipulati in buona fede e siano frutto di conflitti di interesse". È una sentenza storica che ribalta quella della Corte d'appello di Chicago del 17 maggio 2008 nella quale si sosteneva che i giudici non potevano intervenire sugli stipendi ma bisognava lasciar fare al libero mercato. La decisione, che diventerà famosa, è Jones versus Harris Associates".

Ma anche in Europa è stato fatto qualcosa di simile, sembra sia passata l'idea che gli stipendi debbano essere approvati dalle assemblea delle società.
"I tedeschi e gli inglesi hanno stabilito per legge che compensi e bonus devono passare dall'assemblea anche se il parere di questa non è vincolante. Adesso con la sentenza della Corte Suprema americana gli emolumenti dei manager dovranno risultare più equi e per questa via si arriverà probabilmente anche a un ridimensionamento del rapporto debito-capitale delle banche. Le operazioni a debito altamente rischiose hanno infatti favorito i grandi compensi".

In assenza di regole precise le grandi banche, anche italiane, hanno ripreso a macinare utili e i banchieri ne hanno beneficiato con stipendi e bonus a livelli molto alti. È giusto?
"A questo riguardo valgono le parole del premio Nobel Stiglitz nel suo recente volume dal titolo significativo "Free fall" (Caduta libera). Il sistema bancario nel 2009 ha prodotto profitti record e ha pagato 145 miliardi di dollari in bonus ai dipendenti, il tutto in uno scenario economico in cui aumenta la disoccupazione. Stiglitz ha anche proposto che le attività rischiose delle banche debbano rimanere separate dai depositi e dal risparmio della gente o se non altro che il tutto deve essere assolutamente trasparente e non opaco come è ora".

Le grandi lobby finanziarie stanno ostacolando una regolamentazione di derivati, credit default swap e repos, perché altrimenti diminuirebbero le loro opportunità di guadagno...
"La lobby che più agisce in questo senso è quella legata alla banca d'affari americana Goldman Sachs che vanta affiliati sia nelle istituzioni americane sia all'estero. Non è un caso che Tim Geithner e in ultima istanza anche Obama abbiano frenato, sinora, sulle grandi riforme dei mercati finanziari. Dove sono finiti i Global Legal Standard che meno di un anno fa tutti volevano approvare?"

Forse non si vuole imparare dal passato, le borse sono tornate su, l'emergenza è finita e i bilanci pubblici appesantiti dalle perdite assorbite dai privati. Quando arriverà la prossima bolla?
"Il sistema non sarà più in grado di sopportare lo scoppio di una nuova bolla. Arrivati a questo punto il problema è ancora più profondo: è la democrazia che non sa reagire allo strapotere del sistema bancario, come sostiene Posner. Ecco perché è così necessario implementare delle regole nella finanza che non si possano aggirare e che portino maggiore trasparenza pagando il prezzo, forse, di minori profitti. È vitale per la tenuta della democrazia".

Le banche italiane hanno sopportato meglio la crisi rispetto alle big mondiali ma anche da noi non sembra cambiato molto rispetto al passato: utili da trading e bonus generosi per i banchieri.
"Una volta terminata la falsa discussione sui sistemi di governance dualistici in Italia non sono state introdotte né regole per rendere i bilanci delle banche più aderenti alla realtà né paletti per ridurre la leva finanziaria. Le banche italiane hanno retto grazie alle Fondazioni che si sono dimostrate gli unici investitori di lungo periodo in assenza dei fondi pensione".

Sì ma ora la politica torna a premere sulle Fondazioni, che reclamano più governance a fronte di un impegno di risorse maggiore e minori dividendi.
"Io credo che finora la politica non sia entrata in modo così clamoroso nelle vicende bancarie e che comunque anche qui bisogna piantare dei paletti. Senza regole allora diventano preminenti le lotte di potere e in Italia mi pare che ultimamente sia prevalso un potere di tipo "tribale"".

Oltre a darsi lauti stipendi i banchieri si sono recentemente dedicati a cambiare i vertici di Mediobanca e Generali.
"Credo che la giostra delle nomine non risolva i problemi alla radice. In Italia le regole valgono soltanto per le questioni "bagatellari", mentre per quelle rilevanti vale l'eccezione alla regola e quindi il potere svincolato da tutto, che si tratti della protezione civile o della presidenza delle Generali".

Le banche non sono riuscite a far fronte comune nemmeno nel difendere la proprietà della Borsa Italiana, a questo punto è lecito pensare che sia stato un errore privatizzarla. O no?
"Anche le privatizzazioni in Italia sono state fatte senza una cornice di regole. Così oggi abbiamo Eni ed Enel ancora controllate dal Tesoro, le ex Bin in mano alle Fondazioni che hanno garantito stabilità permettendo loro di svilupparsi, mentre quelle fatte sul mercato, come la Telecom, hanno utilizzato la leva finanziaria con il risultato che oggi, malate di eccessivo indebitamento, non possono investire per fronteggiare l'innovazione tecnologica. Quindi, quando si è consegnata la Borsa alle banche, bisognava tener conto che queste non fanno beneficenza e che al momento opportuno avrebbero potuto vendere".

Non crede che gli unici che stanno imparando dal passato siano i cinesi, i quali stanno cercando di sgonfiare le bolle con provvedimenti che raffreddano i settori a rischio, come l'immobiliare?
"Sono d'accordo, i cinesi stanno tenendo basso il cambio dello yuan per favorire le esportazioni e al contempo sviluppare la domanda interna. Quando questa sarà sufficientemente robusta rivaluteranno la moneta favorendo le importazioni che potranno risollevare la domanda mondiale. E non bisogna dimenticare che operando in questo senso detengono già oggi gran parte del debito pubblico americano, per il 45% già in mani straniere. Credo che i cinesi abbiano capito più di altri il messaggio di Keynes: nelle fasi di crisi è meglio dare meno denaro ai ricchi e di più ai poveri, perché questi hanno una maggiore propensione al consumo e possono ricreare la domanda se si vuole ottenere la piena occupazione".


http://www.repubblica.it/economia/2010/04/07/news/rossi_il_capitalismo_resta_malato_nuove_regole_o_sar_la_fine-3165763/
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Alexander
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MessaggioTitolo: Re: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeMer 7 Apr 2010 - 13:50

Bello questo articolo Ratt e anche il topic, molto interessante!
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MessaggioTitolo: Re: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeMer 7 Apr 2010 - 20:35

Alexander ha scritto:
Bello questo articolo Ratt e anche il topic, molto interessante!

grazie Alex, ho aperto questo thread perchè credo che in Italia la situazione vada analizzata molto seriamente, soprattutto bisogna cercare di far prendere coscienza alla gente della differenza fra quello che è giusto e si dovrebbe fare e quello che invece si fa solo perchè fa comodo a ristrette elites ma spesso va contro l'interesse dei cittadini...

... ovviamente spero in contributi da parte delle autorità del forum che con la loro preparazione daranno sicuramente contributi di spessore...
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MessaggioTitolo: Re: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeGio 8 Apr 2010 - 19:22

Il ministero dell'Economia starebbe preparando un decreto da presentare a giugno
Le risorse anche per finanziare le missioni all'estero. Il viceministro Vegas: "Non mi risulta"

Il governo cerca soldi per le spese correnti, in arrivo una manovra estiva da 4-5 miliardi



ROMA - Il governo dovrà recuperare 4,5 miliardi di risorse necessarie alle spese correnti e per questo sta preparando una manovra economica estiva che dovrebbe essere presentata a giugno. I tecnici del ministero dell'Economia sono al lavoro per preparare il decreto di mantenimento della manovra triennale del 2008. Le risorse, secondo fonti parlamentari, serviranno a finanziare le spese correnti, come ad esempio quelle per il proseguimento delle missioni militari all'estero nel secondo semestre 2010. Non è escluso, quindi, che il valore della manovra possa crescere.

Sulla manovra correttiva si è aperto il solito balletto di voci e smentite. Interpellato dal quotidiano on line Affaritaliani.it, infatti, il viceministro all'Economia, Giuseppe Vegas, ha smentito: "Mai saputo niente", ha detto. L'indiscrezione, in realtà, proviene da fonti di maggioranza secondo le quali la notizia sarebbe stata anticipata dallo stesso presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, durante una riunione di partito.

E' comunque bastata l'indiscrezione per innescare la polemica politica. L'Italia dei valori, per bocca del capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, ha chiesto che il ministro Tremonti riferisca subito in aula: "Le voci sulla manovra correttiva sono preoccupanti. I conti dello Stato già sono in rosso ed una manovra per coprire altri buchi rivela una situazione allarmante. Tremonti venga subito in Parlamento a spiegare la situazione, senza ricorrere a trucchi ed espedienti creativi". "Il solo fatto che emerga l'esigenza di una manovra correttiva - ha detto invece Pierpaolo Baretta, capogruppo pd in commissione bilancio - è la dimostrazione delle difficoltà reali della finanza pubblica. Difficoltà che il governo continua a negare. A pochi mesi dallo scudo fiscale, siamo punto e a capo. Il bisogno di finanziare la spesa corrente è la prova che i conti sono fuori controllo".

Il Pdci-federazione della sinistra, è intervenuto con il responsabile lavoro, Gianni Pagliarini: "Tremonti dica come stanno le cose: il rischio è che gli italiani a giugno si trovino ulteriormente salassati. Il governo non solo non ha abbassato le tasse o calmierato i prezzi di tariffe e bollette, ma dopo aver tagliato i trasferimenti ai Comuni, ora si appresta a colpire i cittadini con una nuova manovra finanziaria. Passate le elezioni, si scopre il suo vero volto antipopolare".

http://www.repubblica.it/economia/2010/04/08/news/manovra_d_estate_da_4_miliardi-3203935/
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MessaggioTitolo: Re: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeGio 8 Apr 2010 - 21:34

Nell'articolo postato dall'ottimo Rattleandhum, ci sono sicuramente dei passaggi interessanti.
Una piccola premessa:del "Capitalismo malato "il dott. Guido Rossi ne ha fatto parte per diverso tempo ricoprendo cariche importanti(amm.re Telecom,resp.Consob), e una maggiore onesta intellettuale avrebbe suggerito di fare certe considerazioni in tempi non sospetti, non certamente ora che'e' fuori da ogni carica.
Cio' che dice il premio nobel Stigliz e' vertamente vero:la FINANZIARIZZAZIONE dell'economia ha prodotto bolle finanziarie e portato alla sregolamentazione del sistema finanziario antecedentamente regolato da principi saldi ed equi.
Le ATTIVITA' RISCHIOSE devono rimanere separate dai depositi bancari dei clienti;Goldman non puo utilizzare denaro dei clienti per fare operazioni speculative con i derivati.....LA VERITA' E' CHE GLI STATI SOVRANI SONO OSTAGGI DELLE LOBBIES BANCARIE.
Il CIRCOLO VIZIOSO continua.....le banche centrali danno soldi alle banche commerciali e agli stati....che a loro volta comprano itoli di stato....che poi riportano per lo sconto alle banche centrali per poi riprendere dinero.....

Le banche i soldi non li prestano alle aziende.......ecco perche' l'economia non riprende.....basta guardare le 3 unita' di misura della moneta in circolazione M1,M2,M3....(cioe' contante,depositi a 3 mesi,fino ad arrivare a fondi monetari e depositi a 18 mesi)nonche' la velocita' di circolazione dela moneta....RITRATTE.
Si e' scelto di stampare moneta e reflazionare il sistema....cioe' con la liquidita' abbondante riacquistare asset e sostenere il sistema.
Forse sarebbe stato equo deflazionare il debito, far fallire chi doveva fallire e poi proceere con un credito sano.
O C C O R R E......sviluppare.....soprattutto nelle scuole una.......................................EDUCAZIONE FINANZIARIA.......
Infatti in Italia abbiamo tolto l'EDUCAZIONE CIVICA......certo diamo piu' spazio alla religione..
EDUCAZIONE FINANZIARIA
EDUCAZIONE MORALE ED ETICA
EDUCAZIONE CIVICA
E poi questi super stipendi ai manager, ai banchieri,,,,una piu' equa distribuzione dei redditi permette a molta piu' gente di potr consumare rilanciando cosi' l'economia.
Regole....ma regole vere.
Il falso in bilancio va' punito come tutti gli altri reati....la cultura di un popolo si cambia con le pene esemplari.
Basta va'......
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MessaggioTitolo: Re: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeGio 8 Apr 2010 - 22:56

luca64 ha scritto:
Le ATTIVITA' RISCHIOSE devono rimanere separate dai depositi bancari dei clienti;Goldman non puo utilizzare denaro dei clienti per fare operazioni speculative con i derivati.....LA VERITA' E' CHE GLI STATI SOVRANI SONO OSTAGGI DELLE LOBBIES BANCARIE

luca64 ha scritto:
Forse sarebbe stato equo deflazionare il debito, far fallire chi doveva fallire e poi proceere con un credito sano.
O C C O R R E......sviluppare.....soprattutto nelle scuole una.......................................EDUCAZIONE FINANZIARIA.......
Infatti in Italia abbiamo tolto l'EDUCAZIONE CIVICA......certo diamo piu' spazio alla religione..
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EDUCAZIONE CIVICA

luca64 ha scritto:
Il falso in bilancio va' punito come tutti gli altri reati

direi molto più aspramente degli altri reati; fra i reati particolarmente abietti dal unto di vista "finanziario" includerei anche il lavoro nero, una vera piaga per lo stato (che riceve meno tasse e contributi sia dai datori di lavoro che dai redditi non tassati perchè in nero) che per la collettività (i lavoratori in nero hanno solitamente stipendi più bassi e zero garanzie, non hanno contributi e previdenza sociale e conseguentemente meno potere d'acquisto a breve e lungo termine e non possono accedere agli ammortizzatori sociali come la disoccupazione ordinaria)
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MessaggioTitolo: Re: Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana   Approfondimenti sulla situazione economico/finanziaria italiana Icon_minitimeVen 16 Apr 2010 - 20:44

Febbre Italia

di Uri Dadush e Moises Naim

Il compiacimento del governo sull'andamento dell'economia italiana è sbagliato. Lo dimostrano i dati su debito pubblico, il costo del lavoro e la competitività delle imprese. Che fare? Ecco la ricetta di due noti economisti


L'Italia è la prossima Grecia? No, non lo è. La Spagna e gli altri Paesi europei infatti sono oggettivamente più vulnerabili dell'Italia. Quindi? Gli italiani dovrebbero essere contenti del fatto che il loro prossimo choc non sarà legato al crollo della Grecia ma, diciamo, a quello della Spagna? Certo che no. E questo è il messaggio cruciale che il governo italiano, nonché la sua élite politica, economica e mediatica faranno bene a tenere a mente: la principale minaccia per la stabilità economica dell'Italia non è né la situazione greca né quella spagnola. Il virus invisibile, ma altamente tossico, che sta minando l'economia italiana si chiama compiacimento.

Il fatto che l'Italia abbia governato meglio di altri la rotta durante le recenti tempeste economiche e il fatto che ora sembri meno probabile il rischio di una crisi massiccia come quella abbattutasi sulla Grecia, non significa che le fondamenta economiche dell'Italia siano robuste. O che i responsabili delle decisioni politiche possano rilassarsi. Non solo altri paesi europei sperimentano situazioni d'emergenza costanti e collassi economici che possono influenzare l'Italia ma, cosa ben più importante, senza urgenti correzioni, l'economia italiana si evolverà in modi che sono destinati a condurla verso una dolorosa crisi.

Questa possibilità può e deve essere evitata. Le informazioni, gli strumenti e le politiche ci sono e ne discuteremo qui di seguito. Ma è inutile avere a disposizione le politiche se non ne viene avvertito il bisogno nelle alte sfere governative e nel resto della società, e se i politici e gli altri leader continuano ad ignorare l'impellente necessità per l'Italia di rafforzare le proprie difese economiche. Tale preoccupazione dovrebbe stimolare i politici a cercare dei compromessi, a lavorare insieme, a creare un programma di riforme comune. Non siamo ingenui e sappiamo quanto sia difficile. Ma accadrà prima o poi. Più si rimanda, più doloroso sarà per gli italiani, specialmente per la classe media e per i ceti poveri che vanno aumentando.

Le recenti 'vittorie' economiche dell'Italia non dovrebbero oscurarne la fragilità. Ad esempio durante la crisi l'Italia ha gestito meglio della Grecia e di altri paesi europei i conti pubblici. Il saldo delle partite correnti e il debito estero sono rimasti a livelli modesti. Le banche italiane non hanno avuto bisogno di grandi soccorsi. Il sistema pensionistico, recentemente riformato, resta sì uno dei più costosi in Europa, ma è più sostenibile di altri grazie alla riduzione delle rendite per chi si ritirerà in futuro. Infine lo spread tra i rendimenti dei titoli pubblici italiani e quelli tedeschi è cresciuto restando però minimo rispetto invece al differenziale con la Grecia.

Tuttavia è altrettanto vero che il debito pubblico italiano (in raffronto al prodotto interno lordo) equivale più o meno a quello greco e che gli indicatori demografici mostrano un declino della forza lavoro e un aumento dei costi della sanità e delle pensioni. E bisogna aggiungere che la capacità dell'Italia di competere a livello internazionale è andata drasticamente deteriorandosi come quella della Grecia. Per meglio dire, negli ultimi 20 anni la crescita della produttività dell'Italia è stata la più bassa di tutta l'area euro. Inoltre, la combinazione di questi tre fattori, debito elevato, declino della competitività e crescita anemica, significa che l'economia italiana rimarrà eccezionalmente vulnerabile a choc economici sfavorevoli. Collassi quasi inevitabili in uno scenario globale post-crisi altamente incerto.


L'economia italiana è affetta da tre pericolosi fattori di vulnerabilità.

In primo luogo il debito pubblico, che è attorno al 115 per cento del Pil. Visto che i tassi sono oggi vicino al 4 per cento, per pagare gli interessi l'Italia spende ogni anno circa il 4,5 per cento del Pil. In pratica, quest'anno e il prossimo, gli italiani spenderanno in oneri sul debito la stessa cifra riservata alla pubblica istruzione. Qualora invece i creditori ritenessero che il Paese sia troppo rischioso, oppure i tassi d'interesse crescessero nuovamente vista la ripresa globale (come è sicuro che accada), i costi sarebbero molto più alti. È chiaro che se aumentassero i tassi sul debito, i costi salirebbero anche per imprese e consumatori. Inoltre, anche supponendo che il saldo primario fosse zero (l'avanzo primario del bilancio è la differenza fra le entrate e le spese pubbliche esclusi gli interessi da pagare sul debito pubblico), già l'attuale costo degli interessi si tradurrebbe in un incremento del debito più veloce di quello dell'economia. Senza l'impegno a mantenere l'avanzo primario stabilmente in positivo esiste un serio rischio che ogni anno il peso del debito aumenti sempre di più. Di fatto, la stima unanime è che nei prossimi sette anni l'economia italiana crescerà in media di circa il 3 per cento in termini nominali, un punto percentuale in meno del tasso d'interesse pagato sul debito. E queste sono stime piuttosto ottimistiche poiché partono dal presupposto che i tassi di interesse restino stabili e che non avverrà alcun imprevisto né tantomeno che i suoi maggiori partner commerciali subiscano rallentamenti della propria attività economica. E c'è di più. Il debito dell'Italia ha una scadenza relativamente breve, il che implica ogni anno una richiesta di finanziamento relativamente alta. Di conseguenza l'Italia è potenzialmente più vulnerabile di altri paesi di fronte ad un cambiamento di opinione del mercato.


Il secondo fattore di vulnerabilità riguarda il costo del lavoro che in Italia è cresciuto più dei paesi concorrenti. Questo fatto, oltre ad essere ben noto, rappresenta anche una grave minaccia alla stabilità e alla prosperità del Paese. Un esempio: nell'ultimo decennio il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 25-30 per cento rispetto a quello dei lavoratori tedeschi. La perdita di competitività è ancora più drammatica se paragonata ai salari di Stati Uniti, Giappone e Cina. Questi ultimi rappresentano grandi mercati per le esportazioni italiane e sono spesso sede di imprese che competono con gli esportatori italiani sui mercati internazionali. Le conseguenze della perdita di competitività dell'Italia sono pesanti e stanno impoverendo tutti gli italiani. Secondo una recente analisi globale sulla competitività dell'area euro effettuata dalla Commissione di Bruxelles per ciò che riguarda il decennio 1998-2008, le esportazioni italiane di beni e servizi sarebbero cresciute più lentamente rispetto a quelle di tutti gli altri paesi membri. Sempre secondo questa analisi, l'Italia avrebbe perso gran parte della propria quota di mercato nelle sue tradizionali aree geografiche. Presenza estera crollata anche al di là di quanto sarebbe giustificato solo da fattori legati ai costi. Alcuni economisti ritengono che miglioramenti di qualità hanno consentito ad alcune aziende italiane di spuntare prezzi superiori bilanciando così la caduta delle vendite in volumi. Ma non ci può essere disaccordo sul fatto che la bilancia commerciale sia andata in territorio negativo malgrado la crescita della domanda interna sia stata per molti anni ai livelli più bassi in Europa.

Nell'economia globale integrata di oggi è impossibile crescere a un ritmo europeo persino modesto senza essere competitivi sui mercati mondiali. Sfortunatamente, senza lo stimolo delle esportazioni, molte imprese italiane resteranno di piccole dimensioni e incapaci di sfruttare le economie di scala che i mercati globali permettono, poiché l'andamento demografico e dei consumi dell'Italia sono fra i peggiori al mondo e focalizzare l'attenzione sui mercati nazionali equivale a rallentare la crescita economica del Paese.

Il terzo elemento di vulnerabilità viene dalla combinazione potenzialmente esplosiva dei primi due fattori citati, che si rafforzano a vicenda in un circolo vizioso. È molto difficile ridurre l'entità di un debito pesante se non esiste crescita. Per definizione, un'economia in espansione può sopportare un debito maggiore o può permettersi di produrre un'attività in grado di pagare gli interessi invece che la costruzione di scuole e ospedali. Ed è l'espansione dell'economia a generare il gettito fiscale capace di ripagare il debito. D'altro canto, un debito elevato peggiora la competitività e i problemi di crescita, poiché incrementa i tassi d'interesse attraverso tutto il processo economico. Anche un debito pubblico elevato rende cauti e diffidenti gli investitori i quali sanno che un aumento delle tasse è praticamente dietro l'angolo. Nelle economie che non appartengono all'area euro, ad esempio nel Regno Unito di oggi o nell'Italia degli anni '90, una svalutazione della moneta per restituire competitività e aiutare la crescita attraverso l'incremento delle esportazioni e la riduzione delle importazioni, avrebbe potuto bloccare il circolo vizioso. Ma questa, ovviamente, non è più una soluzione percorribile.

Tali fattori di vulnerabilità non sono una novità, ma ben noti agli esperti e all'opinione pubblica. Ma il problema è proprio questo: gli italiani si sono abituati a vivere sotto la minaccia che questi elementi di vulnerabilità possano un giorno esplodere e portare al collasso. La 'serena coesistenza' con questi pericoli così chiari e presenti non è più accettabile. La crisi greca e quella che potrebbe colpire la Spagna o l'Irlanda mostra quanto sia sconsiderato vivere in una casa il cui tetto potrebbe caderci in testa da un momento all'altro. Se ciò non è accettabile per una famiglia, lo è ancor meno per un intero Paese.

Questa non è 'sempre la stessa solfa'. Ma una situazione nuova in cui i tassi d'interesse stanno rispondendo alle paure dei livelli del debito sovrano e le vecchie abitudini sono divenute pericolose.

Ad esempio, sono quattro le tempeste economiche che quest'anno o il prossimo potrebbero causare il crollo del tetto sulla testa dell'Italia.

1. L'impatto della crisi greca sugli altri paesi porterà ad un rialzo dei tassi d'interesse che si riverserà nel settore privato e ucciderà la ripresa nei paesi euro più deboli, peggiorando ancora di più il problema del debito. Ne conseguirà più disoccupazione, deficit più alti e un ulteriore deterioramento dei servizi pubblici.

2. Il vacillare della ripresa globale una volta che le misure di stimolo non sono più efficaci. E che rischi sovrani e banche fragili possano spaventare i mercati.

3. Qualora però la crescita globale fosse sostenuta, i tassi di interesse risalirebbero dai livelli minimi storici e la domanda di petrolio dei mercati emergenti continuerebbe ad aumentare. Di conseguenza un altro grande collasso petrolifero potrebbe colpire il mondo nel 2011, scatenando un ulteriore rallentamento globale. Allora l'Italia, il Paese che più dipende dalle importazioni di petrolio ed è peggio piazzato per quanto riguarda l'aumento delle esportazioni con le quali riuscirebbe a pagare il suo fabbisogno petrolifero, verrà colpita duramente.

4. L'eventualità più perniciosa è che l'Italia continui a perdere competitività nei confronti della Germania e di altri paesi, che i salari aumentino più rapidamente della produttività e che le imprese italiane siano sempre più care sui mercati mondiali e si vedano obbligate a riposizionare la propria produzione nei paesi dell'Europa dell'Est o da qualche altra parte. Se non controllato, questo processo, ormai in atto da molti anni, porterà alla fine verso un lento strangolamento della capacità di crescita dell'economia, fino ad un suo stallo totale. I mercati finanziari alla fine reagiranno (oppure anticiperanno l'andamento), forzando un rialzo degli oneri sul debito delle dimensioni di quello della Grecia. Il problema qui non è di spaventare la gente, ma di sottolineare il fatto che gli choc all'Italia, già economicamente vulnerabile, potrebbero arrivare da più fonti e che anche una ripresa sostenuta può nascondere pericoli.

CHE FARE?

L'Italia non dovrebbe attendere l'infarto, bensì cercare di tenere sott'occhio la pressione alta, il peso in eccesso, il vizio del fumo. Nei prossimi tre anni, ha bisogno di incrementare il suo avanzo primario di almeno il 4 per cento del Pil per assicurarsi che il suo rapporto debito/Pil torni verso un graduale declino, riassicurando così i mercati in merito al fatto che il Paese ha i conti pubblici a lungo termine sotto controllo. Per fare un raffronto, ci si aspetta che nello stesso lasso di tempo la Grecia, con accordo dell'Unione europea, migliori il proprio avanzo primario del 10 per cento del Pil.

L'Italia ha anche bisogno di riconquistare competitività, ma con il costo del lavoro per unità di prodotto della Germania che non cresce (i salari aumentano solo se aumenta la produttività del lavoro), fare ciò richiede una riduzione del costo del lavoro, in altre parole i salari italiani devono crescere meno rapidamente della produttività. Ma di quanto? Un buon inizio sarebbe un 6 per cento di ripresa della competitività nel giro di tre anni - circa un quarto di quella persa nei confronti della Germania nel corso degli ultimi dieci anni. Persino più importante della cifra sarebbe il segnale inconfondibile che le cose stanno cambiando e che l'andamento negativo si fermi e arrivi persino a capovolgersi.

Questa effettiva svalutazione potrebbe essere raggiunta subito attraverso un taglio dei salari del 6 per cento, cominciando, come in altri paesi, con il settore del pubblico impiego (anche se questa è una via politicamente dura da perseguire), oppure attraverso un più graduale processo di congelamento dei salari per tre anni e mettendo in atto riforme strutturali che aumentino la produttività del 2 per cento all'anno rispetto alla recente tendenza. Essendo complicato accelerare la produttività nel breve periodo, risulta più perseguibile una combinazione tra riforme strutturali e un modesto taglio dei salari. Riforme strutturali decisive dovrebbero includere la rimozione di regole che creano un duplice mercato del lavoro in cui, mentre alcuni lavoratori sono protetti e coccolati, altri - ironicamente spesso i più giovani e acculturati - sono obbligati a svolgere per anni lavori precari e mal pagati. Un altro intervento determinante sarebbe quello di incrementare l'efficienza di servizi e infrastrutture che influenzano la competitività delle imprese, dall'energia alle telecomunicazioni e ai trasporti. Sarebbe poi necessario liberalizzare il commercio al minuto e i servizi professionali.

Questi cambiamenti a livello nazionale sono essenziali e l'Italia ha bisogno di perseguirli a dispetto di tutto. Inoltre, c'è un ruolo importante che gli ambasciatori dell'economia italiana devono svolgere cominciando da quelli che rappresentano il Paese a Francoforte, Bruxelles e Berlino. In poche parole, essi devono staccarsi inequivocabilmente dalla linea tedesca e trasmettere il messaggio che l'aggiustamento in Italia come in altri Paesi vulnerabili sarebbe aiutato da un allargamento più rapido dell'area euro. Ciò richiederebbe che la Germania e gli altri Paesi con un saldo attivo della bilancia commerciale di elevata entità si impegnassero a stimolare i consumi nazionali e gli investimenti e facessero meno affidamento sulle esportazioni europee. Come abbiamo recentemente sostenuto in un articolo pubblicato sul 'Financial Times', è altresì indispensabile che, anche una volta superata l'attuale crisi globale, la Banca centrale europea adotti una politica monetaria più espansionistica di quella perseguita prima della crisi, politica che rifletta il bisogno di adattamento in gran parte dell'Europa e non solo le preferenze dei fondamentalisti dell'inflazione.

Inoltre, nel corso di questo periodo cruciale, l'obiettivo esplicito della Banca centrale europea dovrebbe essere un euro debole, per stimolare la competitività di tutta l'Europa.
Anche altri paesi europei e non possono dare un contributo. Il G20, che è ora il veicolo di coordinamento per la politica economica internazionale e include paesi quali la Cina e l'India, giganti dell'economia emergente a rapida crescita, ha la necessità di riconoscere che una sequenza di crisi del debito sovrano in Europa sarebbe destinata a riversarsi su alcuni mercati emergenti vulnerabili e potrebbe influenzare gli oneri sul debito di Giappone e Stati Uniti, così come le esportazioni di tutti. In altre parole, tale crisi rappresenta un grande rischio per una ripresa globale sostenuta. Un euro debole è il premio assicurativo di cui ha bisogno il G-20 per evitare un'implosione della stessa area euro.

UNA MENTALITA' PERICOLOSA

Le riforme qui delineate sono dolorose e impopolari e richiederebbero un grande coraggio politico, elemento che di solito scarseggia e non solo in Italia.

Le proposte avanzate in questo articolo possono essere facilmente ridicolizzate e licenziate, sulla base del fatto che esse ignorano la realtà politica dell'Italia, la distribuzione del potere e persino la cultura nazionale. Lo sappiamo. Sappiamo anche che molti anni vissuti in 'serena coesistenza' con pericolose minacce economiche e una situazione economica precaria hanno creato la forte illusione che qualunque cosa accada, in un modo o nell'altro, l'Italia finisca sempre per far meglio di quanto predicono regolarmente gli esperti catastrofisti che non ne comprendono il reale funzionamento.
È cosa ben nota anche il fatto che le cifre e le statistiche italiane siano piuttosto confuse e che ci sia una 'economia sommersa' più forte, più dinamica e più sana di quella che riferiscono i dati ufficiali.
Crediamo fermamente che questo modo di fare sprezzante ignori i fatti che riguardano le deprimenti prestazioni economiche dell'Italia degli ultimi anni. Una mentalità che è anche pericolosa poiché sostiene un atteggiamento di compiacimento e passività, che crea una politica di stagnazione capace prima o poi di danneggiare tutti gli italiani. Se non altro, le crisi avvenute in Grecia e Spagna evidenziano che i cambiamenti in Italia sono inevitabili. Arriveranno dal governo e da una società che troverà il modo di collaborare al fine di evitare un ulteriore declino economico oppure arriveranno come inevitabile conseguenza di forze economiche spietate. Non esistono soluzioni facili e indolori. Aspettarle contribuirà soltanto ad aumentare il dolore.

Uri Dadush è associato del Carnegie Endowment di Washington e Moises Naim è il direttore della rivista 'Foreign Policy'

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/febbre-italia/2125262
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