| | Succede oggi. I giorni della nostra storia. | |
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+7francesco1017 Utagawa anter38 mauroe papotto Giorgio67 Manerbio 11 partecipanti | |
Autore | Messaggio |
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Manerbio Maresciallo ordinario
Numero di messaggi : 303 Encomi : 3808 Data d'iscrizione : 20.06.14
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Lun 24 Nov 2014 - 16:34 | |
| - francesco1017 ha scritto:
- Manerbio ha scritto:
- Ciao Francesco,
L'aristocrazia è sempre stata di una ottusità devastante, in ogni parte del mondo. Le unioni tra consanguinei, la soppressione dei rami cadetti, le figlie espulse tramite monachesimo, aventi il solo scopo di mantenere, e non disperdere il capitale (arraffato), sono state sempre causa di innumerevoli ed indicibili soprusi familiari. Figurarsi quale remora potevano mai avere per la "gente" il "popolino". E già il diminutivo dice tutto.
Ma oggi, eliminata l'aristocrazia; la non curanza, la distanza tra "potenti"e "plebe" non è cambiata. Corti e cortigiani prosperano sempre. Sempre lì, ancora... Onore a Lautrec, che toccato il male, non ha dato suoi contributi. Oggi incasinato... Don Milani...se penso che non ho mai voluto leggerlo perchè mi pareva un gesuita, mi darei una mazzata sulle dita. Incredibile per me, devo ammettere che sottrarsi ai preconcetti di una vita è veramente difficile. Più facile a volte cadere da cavallo | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Lun 24 Nov 2014 - 16:38 | |
| - Manerbio ha scritto:
- francesco1017 ha scritto:
- Manerbio ha scritto:
- Ciao Francesco,
L'aristocrazia è sempre stata di una ottusità devastante, in ogni parte del mondo. Le unioni tra consanguinei, la soppressione dei rami cadetti, le figlie espulse tramite monachesimo, aventi il solo scopo di mantenere, e non disperdere il capitale (arraffato), sono state sempre causa di innumerevoli ed indicibili soprusi familiari. Figurarsi quale remora potevano mai avere per la "gente" il "popolino". E già il diminutivo dice tutto.
Ma oggi, eliminata l'aristocrazia; la non curanza, la distanza tra "potenti"e "plebe" non è cambiata. Corti e cortigiani prosperano sempre. Sempre lì, ancora... Onore a Lautrec, che toccato il male, non ha dato suoi contributi. Oggi incasinato... Don Milani...se penso che non ho mai voluto leggerlo perchè mi pareva un gesuita, mi darei una mazzata sulle dita. Incredibile per me, devo ammettere che sottrarsi ai preconcetti di una vita è veramente difficile. Più facile a volte cadere da cavallo
Non sai quanto ne sono felice (Don Milani). Eh, che caduta da cavallo speciale hai scelto. E' da te | |
| | | nysedow Generale di divisione con funzioni di generale di corpo d'armata
Numero di messaggi : 17592 Encomi : 230397 Data d'iscrizione : 25.07.09 Località : L'Aquila
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Mar 25 Nov 2014 - 18:55 | |
| MISHIMA SI SUICIDA RITUALMENTE - Citazione :
- Il famoso scrittore giapponese Yukio Mishima si suicida non essendo riuscito ad ottenere il pubblico sostegno per le sue, talora estreme, convinzioni politiche.
Nato nel 1925, Mishima era ossessionato da quello che gli appariva come il vuoto spirituale della vita moderna, ed era legato al Giappone prebellico, con il suo austero patriottismo e i suoi valori tradizionali, più che alla nazione materialista e occidentalizzata che emerse dopo il 1945.
In questo spirito aveva fondato la 'Società dello Scudo', un controverso esercito privato composto da circa 100 studenti destinato a difendere l'imperatore nell'eventualità di un sollevamento di sinistra.
Il 25 novembre Mishima consegnò al suo editore l'ultima tranche di 'Il mare della fertilità', monumentale epopea in quattro volumi sulla vita giapponese nel XX secolo considerata il suo capolavoro.
Quindi si recò con alcuni seguaci in un edificio militare di Tokyo impadronendosi dell'ufficio di un generale.
Dal balcone si rivolse ai circa 1000 soldati riunitisi lì sotto, incitandoli a rovesciare la costituzione giapponese che proibiva il riarmo della nazione.
I soldati non lo appoggiarono, così Mishima commise il 'seppuku', o suicidio rituale, sventrandosi con la sua stessa spada.
Nonostante le sue idee non gli avessero guadagnato un grosso seguito, in molti piansero la morte di questo straordinario talento letterario. | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Gio 4 Dic 2014 - 11:47 | |
| Sand Creek, 150 anni dal massacro: gli 'indiani' celebrano i due soldati che rifiutarono di sparare
Fabrizio De André
https://www.youtube.com/watch?v=K3tAfnDVbv8
Quattro giorni di celebrazioni in Colorado per i discendenti delle tribù Arapaho e Cheyenne protagoniste di una delle pagine più buie nella storia della 'conquista del West'. Al Riverside Cemerty di Denver l'omaggio al capitano Soule ed al tenente Cramer, i due ufficiali che furono arrestati per aver detto no quando il colonnello Chivington ordinò lo stermini di un campo affollato di donne e bambini. Una vicenda cantata da Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
"Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte / c'erano solo cani e fumo e tende capovolte / tirai una freccia in cielo per farlo respirare / tirai una freccia al vento per farlo sanguinare / la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek... Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek".
Grazie a Fabrizio De Andrè e a Massimo Bubola, all'epoca stretto collaboratore del grande cantautore genovese, dal 1981 tanti italiani sanno che qualcosa di terribile accadde lungo le rive del Fiume Sand Creek, in Colorado.
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Era il 29 novembre del 1864, la fratricida Guerra di Secessione volgeva al termine, all'orizzonte la vittoria degli abolizionisti del Nord, quando la furia del 3° Reggimento dei Volontari del Colorado del colonnello unionista John Milton Chivington si abbattè sui Cheyenne e gli Arapaho accampati nei pressi di un'ansa del fiume, trucidando 200 nativi, per oltre due terzi donne e bambini inermi.
In questi giorni i discendenti di quelle tribù ricordano i 150 anni esatti trascorsi da quel massacro. Celebrano le loro vittime, ma anche chi, quel giorno, sull'altro fronte, ebbe il coraggio di dire no. Infilandosi tra le pieghe della guerra civile, due ufficiali, il capitano Silas Soule e il tenente Joseph Cramer, si rifiutarono di partecipare alla scrittura di una delle pagine più cruente dell'epopea americana.
E' a loro che i nativi americani, riunitisi per quattro giorni a Eads, circa 300 chilometri a sud-est di Denver, hanno rivolto il pensiero. Fino a rendere onore ai due ufficiali con una visita alle loro tombe, al Riverside Cemetery della capitale del Colorado
A caricare di valore e umanità il diniego del capitano Soule e del tenente Cramer è il fatto che i volontari di quel reggimento fossero uomini assoldati con il preciso compito di massacrare quanti più indiani possibile, per far "rispettare" il proclama del governatore Evans che esortava la popolazione a cacciare ed eliminare il numero maggiore di nativi. In particolare quelli che, per diffidenza verso i bianchi o per semplice ignoranza, non avevano obbedito all'ingiunzione con cui nell'estate del 1864 Evans aveva ordinato alle tribù di insediarsi nei dintorni di Fort Lyon, in Colorado.
Fu una lunga estate di schermaglie, durante la quale gli indiani ebbero per primi l'occasione di sconfiggere il nemico. Ma si trattennero dal farlo perché convinti di poter trattate un accordo di pace con le autorità. Un capo cheyenne, in particolare: Pentola Nera, che desiderava fortemente la pace e, dietro assicurazione che nulla sarebbe accaduto, obbedì all'ordine di accamparsi lungo il Sand Creek, poco lontano da Fort Lyon. Alla sua tribù si unì quella degli Arapaho del capo Mano Sinistra. In quell'ansa dove il fiume ha la forma di un ferro di cavallo si stabilirono in 600, tra Cheyenne e Arapaho, per due terzi donne e bambini.
Il giorno dell'attacco, la maggior parte dei guerrieri si trovava a decine di chilometri "sulla pista del bisonte". La fiducia nei bianchi era tale che all'alba di quel 29 novembre del 1864 il villaggio scambiò il rimbombo del terreno calpestato dagli zoccoli del 3° Reggimento proprio per una mandria di tatanka in rotta di collisione con il villaggio. Quando il pericolo mostrò il suo vero volto, era ormai troppo tardi. E nell'accampamento fu l'inferno. Alla vista dei soldati che arrivavano al galoppo, le donne e i bambini corsero via tra le tende, mentre i pochi uomini d'istinto andarono a recuperare le loro armi.
Il capo Pentola Nera cercò ancora di rassicurarli, i soldati non avrebbero fatto loro del male. E attese l'arrivo del 3° Reggimento davanti alla sua tenda, dove aveva piantato una bandiera americana in cima a un palo. Nonostante gli accordi, il colonnello Chivington fece circondare l'accampamento e incurante di quella bandiera diede l'ordine di attaccare.
Alla fine, i pochi sopravvissuti conservarono la vita solo perché il 3° Reggimento non era ben addestrato. Era composto da un'accozzaglia di mercenari, spesso 'caricati' a whisky. Nel suo rapporto ufficiale, Chivington scrisse di aver perso 9 uomini, 38 i feriti. Molti furono vittime del fuoco amico.
Capo Pentola Nera riuscì a salvarsi. Dopo una notte passata all'addiaccio, uscì dal dirupo in cui si era riparato e guidò ciò che restava della sua gente verso est, in una dolente marcia per ricongiungersi con i guerrieri lontani, sulle tracce del bisonte. Tra mille sofferenze, a piedi, seminudi e senza cibo.
"Per 80 chilometri sopportarono il gelo dei venti, la fame e i dolori delle ferite, ma alla fine raggiunsero il campo di caccia". La notizia del massacro di Sand Creek corse veloce tra le nazioni Cheyenne, Arapaho, Sioux, assieme alla promessa della vendetta effimera, che arrivò solo dodici anni dopo tra le colline di Little Big Horn, consegnando il generale Custer alla leggenda. Ma la memoria dei nativi americani per 150 anni ha conservato anche i nomi di Soule e Cramer.
Il capitano Soule, in particolare, il giorno del massacro ordinò ai suoi uomini di attraversare l'accampamento senza fare fuoco. Il colonnello Chivington lo accusò di codardia. Soule e altri sei uomini furono arrestati. Ma il capitano ebbe il coraggio di denunciare tutto e riuscì a portare il colonnello Chivington davanti a una commissione d'inchiesta. Il Congresso avviò un'indagine formale, ma il capitano Soule non portò a termine la sua testimonianza: una settimana dopo il rilascio fu assassinato a Denver. Non aveva compiuto 26 anni.
Il colonnello Chivington lasciò l'esercito e scampò così al giudizio della Corte Marziale. Ma le sue ambizioni politiche annegarono presto nello sdegno che gli americani provarono nell'ascoltare un giudice dell'esercito affermare formalmente che "Sand Creek era stato un atto di profonda codardia e una strage perpetrata a sangue freddo, un gesto sufficiente a coprire i colpevoli di infamia indelebile, e nel contempo, a suscitare indignazione in tutti gli americani".
Qualcuno, il 29 novembre del 1864, aveva salvato anche l'uomo bianco.
Fonte: http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/04/news/usa_indiani_onorano_memoria_ufficiali_che_non_parteciparono_a_massacro_sand_creek-102062573/?ref=HREC1-2 | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Lun 8 Dic 2014 - 16:16 | |
| Camille Claudel (1864 1943) e le sue sculture
La storia della scultrice francese, conosciuta soprattutto per la sua complicata relazione con Rodin e gli anni passati in manicomio: nacque l'8 dicembre di 150 anni fa.
Camille Claudel fu una scultrice francese conosciuta per molto tempo non tanto per la sua opera, ma per alcuni episodi della sua vita privata: la complicata relazione con Auguste Rodin, suo maestro, e gli ultimi anni della sua vita trascorsi in un manicomio. Nacque a Villeneuve-sur-Fère l’8 dicembre di 150 anni fa e mentre, ancora oggi, si discute molto dell’influenza che Rodin ebbe su di lei, troppo poco si riconosce il contributo che ebbe lei sull’arte di lui.
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Camille Rosalie Claudel nacque a Villeneuve-sur-Fère, in Piccardia, da una famiglia borghese e benestante: era la prima di tre figli, ebbe un rapporto molto difficile con la madre (segnata dalla perdita del suo primogenito morto a soli quindici giorni dalla nascita), e iniziò a modellare la terracotta fin da bambina non seguendo un percorso di formazione artistica regolare e dedicandosi da subito ai soggetti viventi (nelle Accademie si iniziava invece dai lunghi esercizi di copia di nature morte).
Le sue sculture venivano cotte dalla cuoca nel forno di casa. Nel 1881 la famiglia si trasferì a Parigi e per lei fu una grande fortuna: frequentò il Louvre, affittò uno studio con altre tre artiste e iniziò a seguire all’Academié Colarossi le lezioni di Alfred Boucher che fu il suo primo maestro e sostenitore: quando, nel 1883, Boucher decise di partire per l’Italia si fece sostituire nell’insegnamento da Auguste Rodin raccomandandogli in particolar modo proprio Camille.
Nel 1884 Camille Claudel si trasferì nell’atelier di Rodin (che all’epoca aveva ventitrè anni più di lei) posando per lui e aiutandolo nel modellare i piedi e le mani delle sue grandi opere (a quel tempo lo scultore stava lavorando alle Portes de l’Enfer). Nel 1988 Camille si trasferì dalla casa dei genitori in Boulevard d’Italie dove Rodin aveva aperto un nuovo studio: con lui lavorava e con lui, nel frattempo, aveva iniziato una relazione amorosa. Per Camille furono anni molto importanti: lavorò l’argilla, il gesso, scolpì il marmo, cominciò ad esporre e, soprattutto, grazie all’amante, ebbe la possibilità di frequentare i più grandi artisti che all’epoca si trovavano a Parigi.
Rodin e Camille Claudel viaggiarono molto tra il 1887 e il 1894, ma il loro rapporto iniziò ad entrare in crisi nel 1892: Rodin non dimostrò alcuna intenzione di lasciare la sua compagna, Rose Beuret, dalla quale aveva avuto anche un figlio. Sembra anche che Camille dovette affrontare un aborto. I due rimasero comunque insieme fino al 1898. In questi anni si inserì il rapporto (che non ebbe però seguito) tra Camille e Claude Debussy (i due si incontrarono nel salotto del poeta Mallarmé). Debussy, nel febbraio del 1891, scrisse a un amico:
«Ah! L’amavo veramente, e in più con un ardore triste poiché sentivo, da segni evidenti, che mai lei avrebbe fatto certi passi che impegnano tutta un’anima e che sempre si manteneva inviolabile a ogni sondaggio sulla solidità del suo cuore! Ora resta da sapere se lei contenesse tutto ciò che io cercavo! E se ciò non fosse il nulla. Malgrado tutto, piango sulla scomparsa del Sogno di questo Sogno».
Gli anni Novanta furono per la scultrice molto fecondi: realizzò infatti alcune delle sue opere più importanti: La Valse, La Petite Châtelaine, Les Causeses, La Vague e L’Âge mûr dove compare la stessa Camille nelle vesti di una delle figure della composizione, l’implorante, una giovane donna in ginocchio che protende le braccia verso un uomo più anziano che, voltato di spalle, si lascia portare via da un’altra donna. Paul Claudel, fratello di Camille, scrisse:
«Mia sorella Camille, implorante, umiliata, in ginocchio, lei così superba, così orgogliosa mentre ciò che si allontana dalla sua persona, in questo preciso momento, proprio sotto i vostri occhi, è la sua anima». La predilezione di Camille Claudel furono i soggetti femminili e una scultura di piccole dimensioni. Da qui in poi, però iniziò il suo declino. Rimasta sola dopo la fine della relazione con Rodin, visse in miseria, le sue lettere erano piene di richieste d’aiuto e di anticipi di denaro, venne aiutata economicamente dal padre e molto probabilmente guadagnava dei soldi anche fornendo bozzetti che non essendo firmati non sono mai stati identificati.
Continuò comunque ad esporre e i critici d’arte continuarono a parlare di lei. Lo stato della sua salute mentale iniziò ad aggravarsi nel 1905: era ossessionata dal furto e dal plagio, immaginava che Rodin la facesse spiare dai suoi assistenti per rubarle le idee e che volesse farle del male, distrusse alcune sue opere e queste idee fisse si trasformarono ben presto in psicosi. Sempre più isolata, venne allontanata anche dalla famiglia e il 10 marzo del 1913 venne ricoverata in un istituto vicino a Parigi: vi trascorse trent’anni. Morì il 19 ottobre del 1943. Auguste Rodin era morto 26 anni prima. Da qui, Camille Claudel scrisse lettere, elenchi di oggetti e richieste di aiuto (voleva essere riportata nel paese dove era nata). Ma non scolpì più nulla. Nel 1938 scrisse al fratello: «… vorrebbero sforzarmi a fare delle sculture, qui all’istituto, e vedendo che non ci riesco, mi si impone un sacco di seccature. Ciò non mi convincerà di certo, al contrario».
Nella stessa lettera scrisse della madre che, pare, fu la principale responsabile del suo lungo internamento, anche quando i medici non lo ritenevano necessario: «In questo momento, vicino alle feste, penso alla nostra cara mamma. Non l’ho mai più rivista dopo il giorno in cui avete preso la decisione di mandarmi in un manicomio! Penso a quel bel ritratto che le avevo fatto all’ombra del nostro bel giardino. I grandi occhi in cui si leggeva un dolore segreto, lo spirito di rassegnazione che regnava sul suo volto, le mani incrociate sulle ginocchia in totale abbandono: tutto indicava la modestia, il sentimento del dovere portato all’eccesso, tutto questo era proprio la nostra povera mamma. Non ho più rivisto il ritratto (e nemmeno lei). Se per caso ne senti parlare, me lo dirai. Non penso che l’odioso personaggio di cui ti parlo spesso abbia l’audacia di attribuirselo, come altri miei lavori; sarebbe troppo, il ritratto di mia madre…».
Molte opere di Camille Claudel sono esposte al Museo Rodin di Parigi, in una sala a lei dedicata accanto ad alcune sculture di Rodin che lei ispirò. Su di lei vennero girati due film: il primo nel 1988 diretto da Bruno Nuytten, il secondo nel 2013 del regista francese Bruno Dumont.
http://www.ilpost.it/2014/12/08/camille-claudel-scultura-rodin/ | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Gio 11 Dic 2014 - 7:29 | |
| Francois Truffaut(1932 - 1984): al Palazzo delle Esposizioni di Roma una retrospettiva per ricordare il regista francese a 30 anni dalla morte
.....con due video: Jules e Jim e I 400 colpi (vedi link)
Non solo regista di indimenticabili film: Francois Truffaut è ricordato ancora oggi per il suo ruolo di critico e divulgatore di opere altrui. Per celebrarne il trentennale della scomparsa, dall'11 dicembre 2014 all' 8 febbraio 2015 la Sala Cinema del Palazzo delle Esposizioni di Roma ospiterà la retrospettiva "Francois Truffaut - I film della mia vita", un'eccezionale carrellata di oltre 30 titoli presentati in pellicola 35mm e a ingresso libero per il pubblico.
Il programma vuole affiancare i capolavori del regista francese (da Effetto notte a I 400 colpi, da L'uomo che amava le donne a L'ultimo metrò) ad alcuni dei film e degli autori da lui più amati, compresi maestri come Hitchcock, Renoir, Welles, Bergman, Fellini, Vigo o Lubitsch. Il risultato è un ritratto a tutto tondo dell'universo di Truffaut e un'occasione unica per riscoprire sul grande schermo alcune pietre miliari della storia del cinema, che spesso divennero tali anche grazie alle pagine dei Cahiers du Cinema e all'entusiastica divulgazione dello stesso Truffaut.
Oltre a titoli celeberrimi come La donna che visse due volte, La regola del gioco, Johnny Guitar, L'infernale Quinlan o L'Atalante, solo per citarne alcuni, si potranno quindi apprezzare chicche come Un'estate d'amore, di un giovanissimo Ingmar Bergman, o la commedia musicale Gangster cerca moglie, con Jayne Mansfield, o ancora Un re a New York, tra i film meno conosciuti di Charlie Chaplin, che proprio Truffaut fu tra i pochi a difendere alla sua uscita.
A inaugurare la rassegna giovedì 11 dicembre sarà comunque uno dei titoli leggendari del regista francese, Jules e Jim, vero e proprio inno all'amore e alla libertà che rappresenta al meglio lo spirito della Nouvelle Vague. Un inizio folgorante per quello che si annuncia un evento imperdibile per gli amanti del grande cinema, capace di restituire in tutta la sua ricchezza la lezione di un artista unico.
http://www.huffingtonpost.it/2014/12/05/truffaut-palazzo-esposizioni-roma-retrospettiva_n_6274438.html
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Dopo 30 anni quanto ci manca ancora Truffaut
All'inizio della sua carriera, un giovane e un po' presuntuoso Bernardo Bertolucci parlò in francese a un gruppo di giornalisti italiani, affermando che avrebbe risposto alle loro domande solo se l'intervista fosse stata fatta in francese perché quella è la lingua del cinema. A 30 anni dalla morte del regista Francois Truffaut, mai affermazione oggi pare più vera.
Il francese è la lingua del cinema con la c maiuscola e Truffaut è stato uno degli ultimi testimoni della grandeur della settima arte. Truffaut ci manca. Ci mancano la sua gioia e il suo entusiasmo per tutto ciò che riguarda il grande schermo. Soprattutto ci manca quello che avrebbe potuto ancora mostrarci e che la morte arrivata troppo in fretta ci ha negato.
Il regista di film celebri come I 400 colpi (restaurato dalla Cineteca di Bologna e di nuovo al cinema), Jules e Jim, La mia droga si chiama Julie ed Effetto notte cominciò in veste di critico in quella fucina di talenti che rappresentarono i Cahiers du Cinéma, rivista cinematografica fondata da Andrè Bazin. Da quelle pagine i futuri registi Jean-Luc Godard, Éric Rohmer, Jacques Rivette e lo stesso Truffaut fustigarono il cinema tradizionale, il cosiddetto cinema de papa, mettendo invece sul piedistallo registi fuori dagli schemi come Jean Renoir, Alfred Hitchcock e Roberto Rossellini.
Ben presto questi giovani critici, chiamati per la loro intransigenza "giovani turchi", decisero di mettersi dietro la macchina da presa scrivendo una pagina rivoluzionaria del cinema che va sotto il nome di Nouvelle Vague. Truffaut rimane sicuramente il più conosciuto, ma soprattutto il più fruibile, di quel movimento. I suoi 21 film non hanno risentito del tempo e ci trasmettono oggi come allora la stessa intensità.
La grandezza di Truffaut sta proprio nell'avere tracciato una specie di comédie humaine alla maniera di Balzac (autore amatissimo dal regista, e lettura del giovane Antoine Doinel ne I 400 colpi).
La cinepresa del regista ci ha mostrato le debolezze borghesi, gli amori infelici, gli amor fou, le incomprensioni familiari, le difficoltà nel diventare adulti e la leggerezza nei sentimenti dei bambini. È difficile scegliere un singolo film di Truffaut, perché sono quasi tutti belli ed emozionanti, quasi tutti ci raccontano una sfaccettatura della nostra vita.
Per cancellare la tristezza di questo trentesimo anniversario della sua morte, possiamo provare a svincolarci e ricordare, grazie sempre al calendario, un altro evento, molto felice, che cade nel 1974, 40 anni fa. Truffaut fu infatti premiato con il premio Oscar per il miglior film straniero per Effetto Notte. Un atto d'amore per il cinema, un film che celebra la settima arte.
Giusto per capire quanto Truffaut adorasse il suo mestiere è bene rileggersi ciò che scrisse nel 1969 sulla rivista Esquire. Dove il cinema e la vita diventano una cosa sola: "Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell'infanzia, costruire un oggetto che è allo stesso tempo un giocattolo inedito e un vaso dove si disporranno, come se si trattasse di un mazzo di fiori, le idee che si provano in questo momento o in modo permanente. Il nostro film migliore è forse quello in cui riusciamo a esprimere, più o meno volontariamente, sia le nostre idee sulla vita che le nostre idee sul cinema".
http://www.huffingtonpost.it/giacomo-galanti/francois-truffaut-ci-manca_b_6019892.html | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Mar 23 Dic 2014 - 9:40 | |
| E' morto Maurice Duverger, costituzionalista francese
Ripropongo questo articolo (scritto ad inizio 1996) di Maurice Duverger, costituzionalista francese che vent'anni fa seguivo con molto interesse; insieme al prof. Giuliano Urbani, fondatore di Forza Italia, sosteneva la validità del sistema istituzionale francese, semipresidenziale e con sistema elettorale maggioritario a doppio turno.
Le discussioni iniziarono attorno a 1992-93, al tramonto della Prima Repubblica.
E' un ricordo vivissimo perchè i due professori erano di opposta formazione e questo stimolava la curiosità; aggiungo che la stragrande maggioranza dei costituzionalisti, allora, suggeriva l'introduzione di questo sistema elettorale:
" Al primo turno si vota, col cuore, il partito preferito. Al secondo turno si vota con la testa dando la propria preferenza al partito che più si avvicina alle nostre convinzioni, qualora il nostro partito preferito non abbia superato il primo turno"
Poi, ragioni politiche hanno portato ad abbandonare qusto sistema; quello che è syccesso dopo sembra indicare che non fu cosa saggia.
DUVERGER: ' LA STRADA E' GIUSTA'
MILANO - La ricetta per l' Italia di Maurice Duverger, grande costituzionalista francese ed ex parlamentare europeo del Pds, è semplice e precisa: trasferire in Italia il sistema francese, quasi esattamente com' è, senza tanti tentennamenti ("se si fa una riforma deve essere fino in fondo").
Quindi Presidente eletto con il doppio turno, a suffragio universale e diretto, Primo ministro nominato dal Presidente e Assemblea eletta con sistema maggioritario, uninominale, con il doppio turno.
Viste le particolari caratteristiche italiane, Duverger arriva ad ammettere un' unica correzione:
"Dopo una vita passata a difendere i vantaggi del sistema maggioritario un regalo al proporzionale lo voglio fare. E cioè un bicameralismo ineguale. Dal momento che avete due camere il Senato potrebbe essere eletto col sistema proporzionale, su base regionale. Con un potere di veto limitato, potrebbe avere il compito di rappresentare le diversità del Paese, senza la possibilità di dare la fiducia o la sfiducia al Governo. Lasciando in ogni caso alla Camera il potere di decidere in caso di contenzioso".
Duverger ieri mattina era al Circolo della Stampa per partecipare a un dibattito organizzato dalla rivista I democratici. E qui ha spiegato come vede la situazione italiana.
Professore, i partiti sembrano essere arrivati finalmente a un accordo sul semipresidenzialismo alla francese. Le pare un buon accordo?
"Il dibattito italiano mi sembra molto fumoso. Nella politica italiana c' è una vocazione a fare teatro, a proporre grandi cambiamenti con la riserva mentale di contenerne la portata.
Ma il teatro non è la realtà. Una cosa mi sembra evidente: gli uomini politici hanno capito che devono dare un segnale di cambiamento al Paese. Ma vorrebbero darlo in modo gattopardesco. Cambiare tutto perché nulla cambi".
Secondo lei il presidenzialismo in Italia potrebbe far riemergere pericoli di fascismo?
"No. Non mi sembra proprio che i dirigenti di An abbiano questo tipo di tentazione. Il vero pericolo è un altro. E cioè che si faccia una riforma finta. Bisogna avere il coraggio di fare una riforma fino in fondo, lasciando agli elettori il potere di decidere. Il sistema francese ha dato prova di funzionare molto bene. Bisogna cercare di cambiarlo il meno possibile". Il pericolo maggiore, allora, sarebbe eleggere un Presidente con scarsi poteri? "Certo. In Irlanda e in Islanda ci sono Presidenti con poteri solo simbolici.
Ma la storia di quei paesi è completamente diversa. Sono paesi dove si alternano al potere due partiti.
In Italia abbiamo problemi opposti. Ci sono troppi partiti litigiosi. E l' elezione diretta è necessaria proprio per permettere l' alternanza. I bambini non giocheranno disciplinatamente insieme senza un papà che li controlla".
Lei è favorevole al mantenimento di una quota di recupero proporzionale? "
Assolutamente no. Sarebbe un grave errore mantenerla. Si rischierebbe di bloccare il sistema, impedendo la formazione di chiare maggioranze.
Il Senato delle Regioni, eletto col sistema proporzionale, può avere il compito di rappresentare le diversità locali. ........................[/i]
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/02/02/duverger-la-strada-giusta.html | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Dom 28 Dic 2014 - 17:38 | |
| 50 anni fa............ The Long Road Half century ago, Martin Luther King, Jr., receiving the Nobel Peace Prize, in Oslo, spoke of the “creative battle” that twenty-two million black men and women in the United States were waging against “the starless midnight of racism.” A few months later, in March, 1965, that battle came to Selma, Alabama, the birthplace of the White Citizens’ Council. The issue was voting rights. As King pointed out, there were more blacks in jail in the city than there were on the voting rolls. James Baldwin, who was among the marchers, had written, “I could not suppress the thought that this earth had acquired its color from the blood that had dripped down from these trees.” The series of marches there––the first was Bloody Sunday, a bloody encounter with a racist police force armed with bullwhips and cattle prods; the last, the fifty-four-mile procession from Selma to the State House, in Montgomery––pushed Lyndon Johnson to send voting-rights legislation to Congress.
The nonviolent discipline of the marchers, the subject of a new film by Ava DuVernay, and portrayed here in Steve Schapiro’s photographs of the Selma-to-Montgomery march, became such a resonant chapter in the black freedom struggle that Barack Obama, in 2007, went to Selma to speak, at Brown Chapel, just weeks after declaring for the Presidency. Almost eight years later, as Selma is being commemorated, demonstrators against racial injustice are employing as a despairing slogan the last words of Eric Garner, an African-American man on Staten Island in the grip of a police choke hold: “I can’t breathe.”Steve Schapiro (American, born 1934) " /> " /> " /> " /> " /> " /> | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
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| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Lun 5 Gen 2015 - 9:20 | |
| Antologia di Spoon River, 1915 - 2015
Apologia di Spoon River DYLAN THOMAS, la Repubblica • 4 gen 15
LA COLLINA IMMAGINATA DA EDGAR LEE MASTERS UN SECOLO FA DIVENTÒ NEGLI ANNI UN LUOGO LETTERARIO UNIVERSALE MA QUALCHE TEMPO DOPO VENNE DIMENTICATA......
Anche se oggi i motivi di sospetto sono assai diversi da allora, quando Spoon River sfondò, con manifesto orrore della potente stampa parrocchiale, dei pulpiti di prateria, ma anche dei frastornati, smilzi, arcigni arbitri del gusto delle riviste letterarie, oltre che di innumerevoli associazioni di perbenismo militante.
Oggi, tra le migliaia di studenti universitari che assumono “poesia” in dosi massicce mi sembra assai difficile che qualcuno legga ancora l’ Antologia di Spoon River.
Non credo che i workshop di poesia aggregati alle università e ai college privati la inseriscano nei loro programmi, se non come fenomeno di interesse storico minore: un libro scritto da un vecchio avvocato bohemien, che in tempi bui divagava declamando sul conflitto tra materialismo e idealismo: un conflitto ritenuto ormai obsoleto, tanto che probabilmente molti, in quei laboratori di poesia, lo considerano da tempo risolto in maniera soddisfacente.
È assai probabile che gli studenti, asettici energumeni esuberanti e ardenti, quarantadue denti e capelli a spazzola, ben decisi a inseguire l’arte della poesia con tanto di taccuino e reticella, flaconcino di veleno, etichette e spilloni, tendano ad accantonare Masters semplicemente perché in vita ha avuto tanto successo. Come ho già notato, negli Usa moltissimi studenti si ingozzano religiosamente di poesia moderna, pur sostenendo con insistenza che le opere poetiche così devotamente lette e divorate da tanta gente siano per ciò stesso prive di valore.
Ezra Pound, per esempio, può essere apprezzato solo da pochi, ossia da eserciti di cultori della cultura che ogni giorno si fanno strada attraverso i suoi Cantos, ostentando estatica comprensione.
Di Masters ho sentito dire che “ha avuto troppo successo per essere onesto”. Osservazione che ha del patetico, in bocca a un illuminato rappresentante di un Paese notoriamente non avverso al successo in qualsiasi campo della vita.
Eppure, è grazie all’ironica onestà di Masters che il suo Spoon River è diventato così popolare tra i suoi detrattori. Sembra che gli americani amino molto essere presi a calci nei loro punti più sensibili. E quale luogo può essere più sensibile dell’arida, grande spina dorsale del Middle West?
Appena uscita, l’ Antologia di Spoon River fu acquistata e letta da molti per diverse ragioni, per lo più estranee al fatto indubitabile che quella era poesia. Molti lessero il libro per negargli questa qualità; altri, avendo scoperto che essenzialmente la possedeva, la contestarono a voce ancora più alta.
Davanti a quei versi arrabbiati, sardonici, toccanti, una delle principali reazioni era del tipo: «Ma sì, può darsi che effettivamente ci sia gente meschina e corrotta, fanaticamente cupa, rispettabile fino alla follia, malevola e scontenta in qualche piccola città dell’Illinois – ma non dove viviamo noi!», «L’Est è l’Est, l’Ovest è l’Ovest, ma il Middle West è terribile!».
Detto per inciso, non a caso negli Usa i luoghi più belli e più emozionanti sono invariabilmente designati come atipici, non veramente americani.
Edgar Lee Masters, tipico uomo del Middle West, ne parlava con cognizione di causa; ma nel suo odio per l’arcigno, avvilente puritanesimo nel quale aveva dovuto dibattersi e ribollire c’era – né più né meno – qualcosa di ingannevole. «Ci conosce troppo bene, quel bugiardo!» era un atteggiamento molto comune.
Personalmente amo molto gli scrittori venuti dal Middle West negli anni dell’inizio della prima guerra mondiale.
A prescindere dai luoghi comuni letterari sulla “vitalità da pionieri”, la “ruvida onestà”, l’”umorismo terragno”, le “imperiture tradizioni popolari” eccetera, è vero che personaggi come i radicali e gli iconoclasti delle piccole città di provincia, i giornalisti sportivi, i collaboratori del Reedy’s Mirror, i chiassosi e avvinazzati predicatori e atei di Chicago, i cantastorie e i professionisti scalcagnati hanno dato un apporto rude e benefico a una lingua che stava morendo in piedi – anzi, neppure sui propri, di piedi.
C’era soprattutto Edgar Lee Masters, missionario bilioso, caparbio oratore da comizio, contorto e magniloquente, acuto nei particolari dei suoi ironici ritratti, prodigo di astrazioni enfatiche, verboso ma anche conciso fino al grottesco: un uomo con un carattere che non avrebbe messo in vendita neppure per un patrimonio.
Nella sua raccolta di poesie, a parlare sono i morti della città di Spoon River , che dal cimitero sulla collina recitano i loro onesti epitaffi.
O piuttosto, parlano con tutta la sincerità di cui sono capaci. Perché nella loro vita terrena sono stati sconfitti per essere stati onesti – e ciò li ha resi a volte acrimoniosi; o al contrario, disonesti – e di conseguenza ora sospettano delle motivazioni di chiunque altro. In vita non erano riusciti a far pace con il mondo. Ora, da morti, cercano di far pace con Dio, magari senza neppure crederci.
Qui giace il corpo di… Segue il nome, inciso con indifferenza dal marmista.
Masters interrompe l’iscrizione per subentrare, dopo il “qui giace”, con la sua versione aspra, dolente e compassionevole di una verità variegata. Non si era mai illuso che la verità fosse semplice e univoca, con valori chiaramente definiti. Sapeva che le vere motivazioni dell’affaccendarsi degli uomini sulla terra sono complesse e confuse, che l’uomo si muove misteriosamente quando si arrabatta per farsi valere, che il cuore non è solo un muscolo, una pompa da sangue, ma anche una vecchia palla umida e lanosa nel petto, dentro “l’orrendo fondaco di stracci e ossa”, per citare Yeats: ricettacolo di errori, tremenda costrizione che vive della sua ferita.
E quel che più conta, sapeva che nelle persone la poesia esiste sempre – anche se non è sempre delle migliori.
Ha scritto della guerra tra i sessi.
Dell’abisso tra gli uomini, creato dalle leggi degli uomini.
Dell’incompatibilità tra quelli che trascorrono insieme le loro brevi vite per convenienza economica o solitudine, l’abissale e sempre crescente distanza dal primo, grave, casuale desiderio fisico materno.
Non che i motivi di convenienza economica o di una voluttà occasionale, ma non per questo meno urgente, non possano di per sé condurre a uno stato di tranquillità tra due persone sperdute. Ma chi la vuole, la tranquillità? Meglio bruciare che sposarsi, se il matrimonio spegne le fiamme.
Ha scritto sullo spreco; su come l’uomo sperpera la sua vitalità nel perseguire ciniche futilità, sulle sue aspirazioni quando obbedisce alle cattive leggi, teologie, istituzioni sociali e discriminazioni; sulle ingiustizie, avidità e paure, costantemente e rancorosamente convalidate da tutti gli umani che in passato ne hanno sofferto, anche fino a morirne.
Ha scritto sulla dilapidazione dell’uomo, ma ad alta voce, maldestramente...................... | |
| | | francesco1017 Maresciallo capo
Numero di messaggi : 956 Encomi : 11582 Data d'iscrizione : 04.07.14 Età : 77 Località : Milano
| Titolo: Re: Succede oggi. I giorni della nostra storia. Lun 5 Gen 2015 - 22:24 | |
| ...sono passati due mesi dal 150° anniversario...............
Sand Creek, 150 anni fa (il 29 novembre scorso): i nativi americani onorano due soldati che non vollero sparare
Quattro giorni di celebrazioni in Colorado per i discendenti delle tribù Arapaho e Cheyenne protagoniste di una delle pagine più buie nella storia della conquista del West. Al Riverside Cemetery di Denver l'omaggio al capitano Soule e al tenente Cramer, i due ufficiali che furono arrestati per aver detto no quando il colonnello Chivington ordinò lo sterminio di un campo affollato di donne e bambini.
Una vicenda cantata da Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
DENVER - "Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte / c'erano solo cani e fumo e tende capovolte / tirai una freccia in cielo per farlo respirare / tirai una freccia al vento per farlo sanguinare / la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek... Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek".
Grazie a Fabrizio De Andrè e a Massimo Bubola, all'epoca stretto collaboratore del grande cantautore genovese, dal 1981 tanti italiani sanno che qualcosa di terribile accadde lungo le rive del Fiume Sand Creek, in Colorado.
Era il 29 novembre del 1864, la fratricida Guerra di Secessione volgeva al termine, all'orizzonte la vittoria degli abolizionisti del Nord, quando la furia del 3° Reggimento dei Volontari del Colorado del colonnello John Milton Chivington si abbattè sui Cheyenne e gli Arapaho accampati su un'ansa del fiume, trucidandone 200, per oltre due terzi donne e bambini inermi.
In questi giorni i discendenti di quelle tribù ricordano i 150 anni esatti trascorsi da quel massacro. Celebrano le loro vittime, ma anche chi, quel giorno, sull'altro fronte, ebbe il coraggio di dire no. Infilandosi tra le pieghe della guerra civile, due ufficiali, il capitano Silas Soule e il tenente Joseph Cramer, si rifiutarono di partecipare alla scrittura di una delle pagine più cruente dell'epopea americana.
E' a loro che i nativi americani, riunitisi per quattro giorni dove il dramma si consumò, una località oggi chiamata Eads, circa 300 chilometri a sud-est di Denver, hanno rivolto il pensiero. Fino a rendere onore ai due ufficiali con una visita alle loro tombe, al Riverside Cemetery della capitale del Colorado.
A caricare di valore e umanità il diniego del capitano Soule e del tenente Cramer è il fatto che i volontari di quel reggimento fossero uomini assoldati con il preciso compito di massacrare quanti più indiani possibile, per far "rispettare" il proclama del governatore Evans che esortava la popolazione a cacciarli ed eliminarli. In particolare quelli che, per diffidenza verso i bianchi o per semplice ignoranza, non avevano obbedito all'ingiunzione con cui nell'estate del 1864 Evans aveva ordinato alle tribù di insediarsi nei dintorni di Fort Lyon, in Colorado.
Fu una lunga estate di schermaglie, durante la quale gli indiani ebbero per primi l'occasione di fare molto male al nemico. Ma si trattennero, perché convinti di poter trattare un accordo di pace con le autorità. Un capo cheyenne, in particolare, Pentola Nera, che desiderava fortemente la pace e, dietro assicurazione che nulla sarebbe accaduto, obbedì all'ordine di accamparsi lungo il Sand Creek, poco lontano da Fort Lyon. Alla sua tribù si unì quella degli Arapaho del capo Mano Sinistra. In quell'ansa dove il fiume ha la forma di un ferro di cavallo si stabilirono in 600, tra Cheyenne e Arapaho.
Il giorno dell'attacco, la maggior parte dei maschi adulti dell'accampamento si trovava a decine di chilometri "sulla pista del bisonte".
La fiducia nei bianchi era tale che all'alba di quel 29 novembre del 1864 la piccola comunità indiana scambiò il rimbombo del terreno calpestato dagli zoccoli del 3° Reggimento proprio per una mandria di tatanka in rotta di collisione con il villaggio. Quando il pericolo mostrò il suo vero volto, era ormai troppo tardi. E nell'accampamento fu l'inferno. Alla vista dei soldati che arrivavano al galoppo, le donne e i bambini corsero via tra le tende, mentre i pochi uomini d'istinto andarono a recuperare le loro armi.
Il capo Pentola Nera cercò ancora di rassicurarli, i soldati non avrebbero fatto loro del male. E attese l'arrivo del 3° Reggimento davanti alla sua tenda, dove aveva piantato una bandiera dell'Unione in cima a un palo.
Nonostante gli accordi, il colonnello Chivington fece circondare l'accampamento e incurante di quella bandiera diede l'ordine di attaccare. Alla fine, i pochi sopravvissuti conservarono la vita solo perché il 3° Reggimento non era ben addestrato, composto com'era di un'accozzaglia di mercenari, spesso "caricati" a whisky.
Nel suo rapporto ufficiale, Chivington scrisse di aver perso 9 uomini, 38 i feriti. Molti furono vittime del fuoco amico.
Capo Pentola Nera riuscì a salvarsi. Dopo una notte passata all'addiaccio, uscì dal dirupo in cui si era riparato e guidò ciò che restava della sua gente verso est, in una dolente marcia per ricongiungersi con i guerrieri lontani, sulle tracce del bisonte. Tra mille sofferenze, a piedi, seminudi e senza cibo. "Per 80 chilometri sopportarono il gelo dei venti, la fame e i dolori delle ferite, ma alla fine raggiunsero il campo di caccia".
La notizia del massacro di Sand Creek corse veloce tra le nazioni Cheyenne, Arapaho, Sioux, assieme alla promessa della vendetta effimera, che arrivò solo dodici anni dopo tra le colline di Little Big Horn, consegnando il generale Custer alla leggenda. Ma la memoria dei nativi americani per 150 anni ha conservato anche i nomi di Soule e Cramer.
Il capitano Soule, in particolare, il giorno del massacro aveva ordinato ai suoi uomini di attraversare l'accampamento senza fare fuoco. Il colonnello Chivington lo accusò di codardia. Soule e altri sei uomini furono arrestati. Ma il capitano ebbe il coraggio di denunciare tutto e riuscì a portare il colonnello Chivington davanti a una commissione d'inchiesta. Il Congresso avviò un'indagine formale, ma il capitano Soule non portò a termine la sua testimonianza: una settimana dopo il rilascio fu assassinato a Denver. Non aveva compiuto 26 anni.
Il colonnello Chivington lasciò l'esercito e scampò così al giudizio della Corte Marziale. Ma le sue ambizioni politiche annegarono presto nello sdegno che gli americani provarono nell'ascoltare un giudice dell'esercito affermare formalmente che "Sand Creek era stato un atto di profonda codardia e una strage perpetrata a sangue freddo, un gesto sufficiente a coprire i colpevoli di infamia indelebile, e nel contempo, a suscitare indignazione in tutti gli americani". Qualcuno, il 29 novembre del 1864, aveva salvato l'uomo bianco
http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/04/news/usa_indiani_onorano_memoria_ufficiali_che_non_parteciparono_a_massacro_sand_creek-102062573/?ref=HREC1-2 | |
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