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"Il trucco è mettere in chiaro la differenza tra ciò che voi volete che accada e quello che sapete che accadrà."
"Il generale veramente eccellente è colui che cerca la vittoria prima della battaglia: non è bravo colui che cerca il combattimento prima della vittoria. Così un esercito vittorioso è tale prima ancora di combattere, mentre un esercito destinato alla sconfitta si batte senza speranza di vittoria."

 

 Le notizie di jara

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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeMar 27 Apr 2010 - 23:08

jaramillo ha scritto:
Mauro Gallegati: La crisi attuale pone molti problemi: quale
teoria economica abbiamo a disposizione, è possibile un paragone
col 1929
, quanto durerà?
Greenwald/Stiglitz: La crisi che inizia nel 2007 ha contribuito
a mettere in luce molti dei problemi dell’ideologia liberista,
in particolare l’idea che il libero mercato possa risolvere tutti i
problemi economici mediante una efficiente allocazione delle risorse per
mezzo della "mano invisibile". Così il
fondamentalismo del mercato, grazie all’idea che una liberalizzazione
dei mercati finanziari avrebbe portato ad una divisione del rischio (con
i derivati),
ha condotto il sistema economico ad assumere più debiti di quanti
sarebbe poi riuscito ad onorare. La teoria economica dominante, dopo un
iniziale disorientamento, sta riguadagnando le vecchie posizioni. Non è
difficile prevedere che, passata la crisi, tornerà a dominare il
pensiero economico, incurante dello scacco intellettuale subito.
La
crisi è però dovuta, contrariamente a quanto si ritiene, non tanto alla
crisi dei sub prime quanto all’eccessivo indebitamento delle famiglie
americane, del debito pubblico e del deficit del
commercio internazionale statunitense. E’ come se i cinesi
stessero finanziando la crescita americana. Qualcuno può credere
davvero che questo processo possa andare avanti per sempre?
Un
aspetto solitamente trascurato riguarda la disoccupazione, cioè su chi
paga davvero la crisi. Negli USA, il numero di lavoratori senza lavoro è
molto più alto di quanto riportano le statistiche ufficiali che non
considerano gli scoraggiati: se includessimo questi, stimiamo un tasso
di disoccupazione attorno al 15%.
Salvare il sistema finanziario è
certo importante, ma le vere cause della crisi rimarranno irrisolte:
Wall Street andrà meglio, le banche torneranno a far profitti, ma il
lavoro no e l’economia della tipica famiglia americana si riassesterà
con grande lentezza. Il sistema finanziario riuscirà dunque a
sopravvivere (fino alla prossima crisi finanziaria) mentre i
costi ricadranno sui lavoratori e sui contribuenti
. Per le
famiglie dell’Europa mediterranea? Sperate che l’euro tenga! Per ora,
obtorto collo (facendo pagare alla Grecia interessi sugli aiuti
finanziari molto elevati), la Germania lo farà. Si ripeterà però quando
anziché alla Grecia, toccherà ad un altro (grande)
Paese?
Mauro Gallegati: La globalizzazione spaventa molti e
incoraggia altri. Quali sono le vostre idee per il futuro della
globalizzazione?
Greenwald/Stiglitz: La paura che un cinese
ti ruberà il lavoro è diffusa quanto irrazionale. Questo perché le
economie sono diverse nelle loro strutture. L’agricoltura assorbiva la
maggior parte dell’occupazione americana nel 1850; ora ne occupa meno
del 2%. La manifattura è stata importante per oltre un secolo, ma ora
negli USA ci sono più occupati legati allo sport che
operai. Lavorano le macchine.
La globalizzazione finirà perché si va
verso una società post-industriale in cui dominano i servizi,
spesso non esportabili (se vi si rompe l’auto in Italia, non andrete a
farla riparare in Bulgaria perché lì costa meno). E non è arduo
ipotizzare che educazione e sanità saranno i settori guida del futuro:
qui si può guardare con ottimismo agli USA, e meno a Cina, Giappone e
Germania, le cui economie sono ancora pesantemente legate
all’industria. E’ ormai ora che un Paese come l’Italia si attrezzi per
sfruttare in pieno il patrimonio di arte, tradizione
e cultura, capace di muovere milioni di turisti.
Attenzione però; i tre Paesi sopra citati stanno investendo molto in ricerca
e si preparano al salto. Salto non indolore, ma necessario perché senza
ricerca non ci sarà futuro.

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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 11:17

Penso proprio che OBAMA sia il piu' grande bluff degli USA Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_twisted ....come sono dei bluff le fantomatiche riforme finanziarie e sanitarie(in favore delle grandi case farmaceutiche) Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_twisted
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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 21:53

venerdì 30 aprile 2010









Ma
cos'è davvero Goldman Sachs? (versione per stampa)






Ripropongo la serie di puntate dedicate a
Goldman Sachs pubblicate nel luglio dello scorso anno, una riedizione
che reputo necessaria alla luce delle recenti indagini federali su
Goldman.

Nella puntata di mercoledì del Diario della crisi
finanziaria ho dedicato ampio spazio all’analisi dei risultati relativi
al secondo trimestre della potente ma ancor più preveggente Goldman
Sachs, così come ho cercato in numerose altre puntate di offrire ai miei
lettori qualche informazione su questa entità che è davvero difficile
inquadrare sia nel contesto delle oramai ex Investment Banks, sia
nell’ampio e variegato panorama creditizio più o meno globale, anche
perché, anche dopo la forzata trasformazione in holding bancaria
soggetta alla vigilanza della Federal Reserve avvenuta nell’autunno
dell’anno scorso, tutto si può dire meno che Goldman abbia cercato di
mutare pelle trasformandosi, come qualcuno aveva molto ingenuamente
previsto, di diventare un’entità più ‘normale’.

Come ho
ripetutamente sottolineato, la maggior parte dei ricavi e degli utili di
Goldman provengono dall’attività di posizionamento su quasi tutto
quanto viene trattato sui mercati regolamentati, un’operatività che
spazia dai prezzi futuri delle materie prime energetiche e non, le
derrate alimentari, i tassi di interesse, le valute convertibili, gli
indici azionari o le singole azioni, attività che, peraltro, svolge in
quasi perfetta solitudine da quando sono scomparse dalla scena Bear
Stearns, Lehman Brothers e Merrill Lynch, la prima e la terza assorbite,
rispettivamente, da J.P. Morgan Chase per un classico piatto di
lenticchie, e da Bank of America, che, come è stato ampiamente e
documentalmente dimostrato nelle aule del Congresso americano, è stata
praticamente costretta da Bernspan e Paulson a pagare un prezzo
stratosferico per un’entità tecnicamente più che fallita e a cui non è
stato neppure consentito di fare nemmeno uno straccio di due diligence.

Per
quanto riguarda, invece, la scomparsa dalla scena della banca un tempo
appartenente ai fratelli Lehman, il discorso sarebbe troppo lungo per
essere affrontato in questa sede e mi vedo costretto a rinviare i
lettori alle numerose puntate specificamente dedicate ai retroscena di
quel funesto avvenimento dopo il quale nulla più è stato come prima, un
avvenimento che non è mai stato spiegato in modo comprensibile e
razionale dall’ex (?) investment banker Hank Paulson, numero uno
indiscusso di Goldman sino a quando ritenne, a metà del 2006, opportuno
assumere l’incarico di ministro del Tesoro degli Stati Uniti d’America e
che, in tale veste, non si oppose in alcun modo allo ‘strangolamento’
della banca guidata da Dick Fuld a opera delle maggiori banche a stelle e
strisce che le negarono l’accesso ai propri depositi presso di loro e
ne determinarono quel fallimento che minacciò seriamente, nel successivo
mese di ottobre del 2008, di determinare un default sistemico a livello
planetario dei diversi soggetti protagonisti del mercato finanziario,
un rischio talmente concreto da indurre i paesi del G20 ad assumere con
inedita prontezza e determinazione misure realmente senza precedenti.

Non
voglio assolutamente con questo dire che Goldman Sachs sia rimasta
l’unica entità a operare nel cosiddetto mercato delle scommesse, ma
certamente che non deve più guardarsi le spalle da tre delle quattro
concorrenti aventi l’expertise e lo standing per rendere meno certo
l’esito delle sue mosse, una circostanza che è ulteriormente rafforzata
dal fatto che Morgan Stanley, l’unica delle ex Big Five statunitensi
sopravvissuta insieme a Goldman, sembra oramai muoversi esclusivamente
sulla scia della sua maggiore concorrente, che, a sua volta, non sembra
preoccuparsi troppo dell’operatività delle banche universali a vocazione
più o meno globale, troppo occupate a pulire i propri bilanci e troppo
timorose delle reazioni dei propri non più docili azionisti per
lanciarsi in scommesse più o meno azzardate!

* * *
Se davvero
la principale fonte di guadagni dei senior e junior partners di Goldman
Sachs proviene dall’attività consistente nello scommettere sugli
andamenti futuri di prezzi,indici, tassi e valute, è molto importante
capire quanto le stesse abbiano le caratteristiche delle self fulfilling
prophecies, cioè delle cosiddette profezie auto realizzantesi, che, a
loro volta, sono rese possibili dalla forma che assume il mercato in cui
si opera, dalla quantità e dal livello di informazioni di cui si
dispone, dall’esperienza e preparazione delle persone direttamente
impegnate, dalla qualità e dalla affidabilità del sistema informativo e
operativo, nonché, the last but not the least dalle dimensioni e dal
comportamento degli altri operatori.

Non è un mistero per nessuno
che Goldman possiede, e alla grande, delle quattro condizioni esposte
di sopra, così come correlativamente gode di una tale fama da indurre i
competitors, che rappresentano la quinta condizione, ad assumere, nella
maggior parte dei casi, un atteggiamento cooperativo e non di contrasto,
una fattispecie comportamentale particolarmente visibile nel mercato
delle materie prime energetiche, con particolare riferimento a quello
dove si determinano i prezzi presenti e futuri del greggio.

Dopo
essere stata negata se non addirittura irrisa per decenni dai paesi
produttori, dalle compagnie petrolifere e dai maggiori esperti del
settore, la tesi che vede una larga prevalenza della componente
speculativa nella determinazione del prezzo del petrolio è ora accettata
e sostenuta proprio da coloro che così ostinatamente negavano che il
prezzo fosse determinato da qualcosa di diverso dalla domanda e dalla
offerta di questa importante materia prima, domanda e offerta a loro
volta strettamente connesse alle diverse fasi del ciclo economico, anche
se sulla base di un tasso di elasticità significativamente ridottosi a
causa delle modificazioni strutturali intervenute nelle economie dei
paesi maggiormente industrializzati negli oltre tre decenni trascorsi
dal primo shock petrolifero.

Ma quanto è avvenuto tra il dicembre
del 2007 e il luglio del 2008, quando, in piena tempesta perfetta e
mentre il prodotto interno lordo statunitense iniziava a dare sempre più
evidenti segnali di frenata, il prezzo del greggio infranse rapidamente
tutti i record per poi portarsi al massimo storico di 147 dollari al
barile, ha definitivamente chiarito come bastasse che tutti credessero
possibile l’obiettivo dei 200 dollari entro la fine di quell’anno
sostenuta dagli analisti di Goldman e rafforzata dalle previsioni miste
ai desideri del numero uno della russa Gazprom per abbattere come
birilli posti in fila i vari livelli un tempo giudicati inviolabili, una
nuova corsa all’oro che vide in scia alle banche più o meno globali una
massa sterminati di investitori più o meno istituzionali, tra i quali
si distinsero anche molti fondi pensione, come il famoso Calpers, con la
differenza che Goldman e le sue dirette concorrenti girarono per tempo
le proprie posizioni, mentre la maggior parte degli altri investitori
restarono intrappolati nella successiva discesa verticale dei prezzi del
greggio innescata dalla reazione dei paesi produttori, Arabia Saudita
in testa.

Ma quello che è accaduto tra la seconda metà del mese
di marzo e la prima metà di quello di giugno dell’anno in corso, è stato
davvero ancora più clamoroso, in quanto il quasi raddoppio del prezzo
del greggio è intervenuto quando erano già noti i crolli dei PIL nel
primo trimestre sia la di qua che al di là dell’Oceano Atlantico e
mentre si assisteva alla bruschissima frenata della crescita di Cina,
India e dintorni, ma quel movimento al rialzo del prezzo del greggio era
davvero indispensabile perché si potesse realizzare quella altrettanto
incredibile corsa dell’orso sui mercati azionari!

* * *

Per
avere un’idea vaga dei profitti derivanti dalle scommesse effettuate
sui rialzi dei listini azionari verificatisi tra la metà di marzo e la
metà di giugno dell’anno in corso, basta dare una scorsa ai grafici
delle principali entità creditizie basate negli Stati Uniti d’America, a
proposito dei quali mi limito a citare il passaggio dai 97 centesimi ai
poco meno di 4 dollari nel caso di Citigroup o la poco meno che
sestuplicazione dell’azione di Bank of America dal minimo di 2,50 ai
qualcosa di più di 14 dollari, rialzi che traevano forza proprio dal
segnale anticipatore della ripresa proveniente dal mercato delle materie
prime energetiche, quello stesso segnale che ha fatto straparlare dei
cosiddetti germogli verdi.

Comprendo pienamente l’imbarazzo
dell’addetto stampa del nuovo inquilino della Casa Bianca di fronte alle
domande sui successi di Goldman Sachs rivoltegli nel giorno in cui sono
stati pubblicati i risultati del secondo trimestre, così come quello
che avrebbe provato Obama se le stesse domanda gli fossero state fatte
personalmente, in quanto buona parte di quei successi sono stati
ottenuti esattamente con i metodi da lui, nonché dai suoi omologhi di
Francia e Germania, fortemente censurati e da lui stesso indicati come
una, se non la principale, delle cause che ci hanno condotti dritti,
dritti nel meltdown finanziario ed economico attuale.

Il
presidente dell’organismo incaricato di vigilare sugli strumenti
derivati utilizzati per determinare i prezzi attuali e futuri delle
derrate agricole ha appena dati il via a una serie di audizioni per
capire se è il caso di estendere quei meccanismi di controllo che
inchiodarono lo scomparso Raul Gardini per la sua operatività sulla soia
anche ai futures e agli altri strumenti relativi al petrolio e alle
altre materie prime energetiche, un ciclo di audizioni che durerà almeno
due mesi e al termine del quale forse avremo la possibilità di capire
se la nuova amministrazione intende realmente spuntare le unghie alla
speculazione, un’eventualità nella quale ripongo ben poche speranze, ma
che credo sarà molto legata al livello di pressione proveniente
dall’opinione pubblica.

Non vi è dubbio che Goldman disponga di
tutte le condizioni che rendono possibile operare con successo nel
mercato delle scommesse, condizioni che ho sommariamente indicato nella
puntata precedente, in quanto non solo dispone dei migliori specialisti e
della migliore strumentazione disponibili, ma è anche dotata di
sistemi, procedure e informazioni, tutti elementi sui quali vigilano i
due Chief Operating Officer dei quali si è molto opportunamente dotata,
ma è altrettanto certo che, oltre a queste condizioni indispensabili,
Goldman Sachs dispone di un fattore di successo aggiuntivo che coincide
nella rete di relazioni di alto e altissimo livello che le viene
universalmente riconosciuto, una rete di relazioni forse unica al mondo e
che viene coltivata con la massima attenzione e cura.

Non è,
peraltro, un mistero per nessuno il fatto che un grande numero di
persone che si sono formate e sono cresciute professionalmente in
Goldman abbiano successivamente ricoperto importanti incarichi sia nel
settore pubblico che in quello privato, così come è altrettanto noto che
numerosi esponenti di primo piano della politica a stelle e strisce o
di quella operante nei cinque continenti siano poi stati arruolati,
senza i cento colloqui riservati ai normali candidati all’assunzione, a
livelli più o meno elevati della banca, alcuni con contratti prevedenti
l’impegno a tempo pieno, mentre ad altri sono stati riservati più o meno
dorati contratti di consulenza, un sistema che ha reso quelle di
Goldman Sachs delle porte girevoli dalle quali una parte dei potenti del
pianeta entra e esce abitualmente e che rende elevatissima la qualità
delle informazioni.

* * *

La vasta e fittissima rete di
relazioni intessuta negli ultimi decenni da Goldman Sachs nei cinque
continenti ha raggiunto negli ultimi tempi dimensioni inedite e tali da
consentirle, forse unico caso tra le pur potentissime multinazionali
della finanza e dell’industria, una capacità di influenza tale da non
rendere del tutto ipotetica o fantasiosa l’idea che sia finita per
essere una sorta di luogo di compensazione di interessi tra di loro
apparentemente contraddittori, così come si presta a essere
un’istituzione molto più efficace e rapida nel suo agire di consessi
quali la commissione trilaterale o il gruppo Bildberg che, al confronto,
finiscono per assomigliare di più a raduni di ex alunni di scuole
prestigiose ed esclusive che a quella sorta di governo planetario cui
vorrebbero più o meno dichiaratamente assomigliare.

Per fare
qualche piccolo esempio della capacità che la banca statunitense ha di
condizionare o, quanto meno, di influenzare le scelte dei governi e
delle autorità monetarie in patria e altrove nel mondo, mi soffermerò
brevemente sul caso italiano, sulla rete di riferimento di Goldman negli
USA nei poco meno di due anni trascorsi dall’avvio della tempesta
perfetta e nella davvero emblematica vicenda del salvataggio della AIG,
chiarendo sin d’ora che si tratta solo di squarci, a volte casuali, di
un velo molto fitto che avvolge l’operatività complessiva della banca.

Per
quanto riguarda l’Italia, non è un mistero l’attribuzione di una
consulenza prima a Romano Prodi e poi a Gianni Letta, in entrambi i casi
quando i due erano liberi da impegni di Governo, mentre ancora più
emblematica è la parentesi svolta da Mario Draghi al vertice della
presenza di Goldman in Europa e nel comitato esecutivo globale della
banca, una parentesi che si è collocata tra la fine del suo impegno
decennale come Direttore Generale del ministero del Tesoro con delega
sulle privatizzazioni e che si è conclusa con la sua nomina a
Governatore della Banca d’Italia e alla successiva assunzione della
guida di quel Financial Stability Forum, poi allargatosi e trasformatosi
in Financial Stability Group, cui è stata affidata dal G8 e dal G20 la
riscrittura delle regole da applicare alla finanza globale, ma è
altrettanto nota la presenza diretta o in via consulenziale di uomini
Goldman sia nei governi presieduti da Prodi che in quelli guidati da
Berlusconi.

Per dare un’idea della presenza di Goldman
nell’amministrazione USA, anche in questo caso senza differenza alcuna
tra amministrazioni democratiche e repubblicane, non basterebbe un
libro, per cui mi limiterò a citare il caso degli ex ministri del Tesoro
Robert Rubin e Hank Paulson (nonché di tre dei quattro vice di
quest’ultimo), dell’ex presidente del New York Stock Exchange e poi
esecutore testamentario di Merrill Lynch, John Thain, così come non si
contano gli ex uomini di vertice di Goldman passati a guidare le
principali banche e compagnie di assicurazione statunitensi o alla guida
delle presenze statunitensi di banche e compagnie di assicurazioni
basate altrove.

Mentre nulla si sa di come trascorra le sue
giornate il ‘soldato’ Paulson dopo la fine del suo intensissimo impegno
al vertice del dicastero del Tesoro, molto si discute sulla sua
decisione di porre al vertice della di fatto nazionalizzata AIG Edward
Liddy, un uomo che ha percorso quasi tutti i gradini della scala
gerarchica in Goldman Sachs e che da poco si godeva una meritata
pensione dopo aver guidato una compagnia di assicurazione e che non ha
potuto esimersi dall’accettare la richiesta pressante di Hank in cambio
di uno stipendio da un dollaro l’anno, ma che già sta meditando l’uscita
dopo aver garantito in poche settimane il rimborso pressoché integrale
in favore delle banche statunitensi e straniere, Goldman ovviamente in
testa, che hanno ricevuto buona parte dei 180 miliardi di dollari
ricevuti da quel TARP fortemente voluto dallo stesso Paulson.







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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 21:53

mercoledì 28 aprile 2010









Le
sorti di Atene nelle mani di Berlino!






Ho trascorso un pranzo discutendo con un amico
delle possibili conseguenze della crisi della Grecia sul futuro del
sistema dell’euro, conseguenze che, almeno secondo il mio commensale,
non potevano che essere l’uscita della Grecia dall’eurosistema, un
intervento drastico ma necessario alla luce della condotta del governo
greco in materia di politica economica, per non parlare poi della
questione della corretta, o meno, rappresentazione delle cifre del
bilancio pubblico.

Non so se la posizione della Germania verrà a
modificarsi sotto il pressing congiunto della Banca Centrale Europea e
del Fondo Monetario Internazionale, ma credo proprio che la tentazione
di dare un esempio non occupi un posto secondario nella mente di Frau
Merkel, anche se penso che nessuno possa sottovalutare le conseguenze
dell’estromissione di un paese, anche se, come la Grecia, affiliato in
un secondo momento dal sistema dell’euro.

Va detto che il mercato
non sembra scontare una conclusione così drastica della vicenda, con
l’euro che continua ad oscillare intorno al livello di 1,33 dollari, ma
quello che colpisce è l’incapacità delle istituzioni politiche europee,
Commissione e Parlamento a trovare una soluzione a problemi posti sul
tappeto oramai da alcuni mesi.

In assenza di un ripensamento
tedesco, le prospettive sono quelle di un sistema che rischia di perdere
i pezzi a meno di dieci anni dalla introduzione dell’euro in luogo
delle precedenti valute dei paesi fondatori, un’ipotesi che, al di là di
quello che pensano i fautori della linea dura, spingerebbe la
speculazione internazionale a gettarsi a capofitto, puntando, a ragione o
a torto, a rinverdire i fasti di George Soros nella sua epica battaglia
contro la lira italiana e la sterlina.

Non posso che concludere
ripetendo quello che ho scritto in diverse puntate del Diario della
crisi finanziaria e, cioè, che il problema vero consiste nell’anomalia
dell’esistenza di una valuta unica europea in assenza di un vero e
proprio governo europeo dotato di poteri effettivi in materia
economico-finanziaria, un’asimmetria le cui conseguenze sono oggi sotto
gli occhi di tutti e che rischia di produrre effetti nefasti nei
prossimi mesi se non nelle prossime settimane.








Pubblicato da
marco sarli


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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 21:58

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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 22:17

10 4 30 ECONOMIA E FINANZA: IL
TEMPO E' GALANTUOMO. E L'ITALIA UN PAESE SAGGIO. LO DICONO I DEBITI,
NOSTRI E ALTRUI

f.


Il tempo è galantuomo,
anche per l'economia e la finanza
L'ultimo esempio la Spagna. La
davano lanciata a superare l'Italia, ma in illustre compagnia. Persino
il cittadino greco stava per superare, per reddito medio, il cittadino
italiano. Destinati a finire in fondo, parenti poveri di una Europa
lanciata a tenere il passo della corazzata statunitense mentre
incalzavano a ritmo frenetico Cina e India.
Quest'Italia spacciata ha
dimostrato e sta dimostrando, su quasi tutti i fronti degli analisti
istituzionali e privati, che gli spacciati semmai erano altri, quelli
dei prodigi finanziari o della evoluzione economica basata sul virtuale.
In Grecia si va in pensione poco dopo i 50 anni, i pubblici dipendenti
non hanno 13 mensilità ma 14 e il fisco aveva la mano molto più leggera
rispetto a noi e ai grandi Paesi europei. Tanto pagava Pantalone che
adesso siamo diventati noi europei che dovremo sborsare due milioni di
vecchie lire (dato calcolato per una famiglia di 4 persone) per evitare
il fallimento della Grecia che avrebbe conseguenze nefaste sull'€uro e
quindi su tutti noi. Per inciso il debito greco è per la maggior parte
verso banche tedesche e francesi, non italiane…

Nell'occasione è
emerso chiaramente che sarebbe ora di stracciarci le vesti addosso, come
Paese, magari per piccoli interessi di bottega politica.

ITALIA
SAGGIA
Come fa a reggere l'Italia con il terzo debito pubblico, per
quantità, del mondo e senza essere, come ripete Tremonti, il terzo Paese
più ricco del mondo?
Soccorrono i dati rispetto al PIL, qualcuno dei
quali merita di essere riportato, attingendo da una tabella del
Corriere della Sera del 9 aprile u.s., pag. 15..

Debito pubblico
Siamo
con 116,9 secondi solo alla Grecia (120,4). Sopra il PIL ancora solo il
Belgio con 100,6. Seguono nessuno sopra il 90. La media è di 86,5. Gli
altri Paesi considerati )A, B. F, IR, NL, E, P, GB, USA) sono sotto.

Debito
Famiglie
Le cose cambiano per il debito delle famiglie. Qui con il
48,6, ben sotto la media che è di 81,3, siamo dietro solo al Belgio
(39,1). Olanda (148,4) con Irlanda, Regno Unito, Portogallo al di sopra
del PIL, solo l'Austria sotto il 60.

Debito imprese
Italia
quarta con 217,1 dietro a Grecia 152,5, Germania 166,3, Austria 211,3 ma
comunque ben meglio rispetto alla media che è di 271,7 con punte oltre i
300 di Belgio (389,2), Irlanda, Francia, Spagna.

Debito imprese
finanziarie
Italia al top, meglio di tutti con 317,9 rispetto alla
media che è di 550,5. Sotto quattro volte il PIL solo, dopo di noi,
Grecia 335,9, Portogallo 361,5, Olanda 379,5, Germania 393,1. Punta
astronomica per l'Irlanda con 17,535 volte il PIL ma non scherzano Regno
Unito (926.5) e gli altri sopra il quintuplo del PIL.

Sono cifre
eloquenti: l'Italia, incredibile!, è un Paese saggio, fra i più saggi
di tutti.
Smettiamola di stracciarci le vesti addosso.
Nei
cromosomi abbiamo millenni di storia. Si fanno sentire.
f.

www.gazzettadisondrio.it
n. 12/2010, anno XIII° del 30 IV 10
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MF
Dow Jones - News Italia


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Finanza: Lucchini torna sul mercato e
lancia bond da 18 mln euro (MF)




MILANO (MF-DJ)--Hanno abbandonato il colosso che portava il loro nome,
ma non la siderurgia. Dopo l'accordo con Severstal e l'esercizio
dell'opzione put da 100 mln euro, la famiglia Lucchini non e' uscita di
scena. Al contrario. Gli eredi del patron Luigi (Giuseppe, Silvana e
Gabriella) hanno ricominciato a investire e stanno raccogliendo risorse
per crescere. L'ultimo Cda della Sinpar, la holding che controlla le
attivita' industriali e finanziarie della famiglia, ha deliberato
l'emissione di un bond non convertibile da 18 mln euro.

L'obbligazione, si legge in MF, dovrebbe servire per completare alcuni
investimenti industriali che i Lucchini hanno messo in cantiere.
Peraltro, a fine 2008 la Sinpar aveva gia' emesso un altro bond da 13,2
milioni, che scadra' nel 2017. Gran parte di queste risorse dovrebbero
finanziare l'unico asset industriale rimasto ai Lucchini, ossia la ex
Sidermeccanica di Lovere (oggi Lucchini RS). La famiglia ha appena
investito oltre 90 mln euro per realizzare un nuovo laminatoio dedicato
alla costruzione di ruote ferroviarie per treni ad alta velocita'.
L'impianto, commissionato e realizzato dalla tedesca Sms Meer, sara'
inaugurato domani e portera' la capacita' produttiva annua a 240.000
ruote rispetto alle 140.000 attuali. Con questo investimento Lucchini RS
dovrebbe diventare leader internazionale nel campo delle ruote e assili
ferroviari di alta gamma. red/gt




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April 30, 2010 03:06 ET (07:06 GMT)

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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 22:19

Nel mirino pure
la villa di Lunardi, venne ristrutturata da Anemone


di Redazione
Da un ministro a un ex ministro. Dopo Scajola la
scatenatissima guardia
di finanza sta facendo le pulci alla ristrutturazione della depandance
della casa di campagna dell’ex ministro Pietro Lunardi in provincia di
Parma, per l’esattezza a Basilicanuova

di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica

Da un ministro a un ex ministro. Dopo Scajola la scatenatissima guardia
di finanza sta facendo le pulci alla ristrutturazione della depandance
della casa di campagna dell’ex ministro Pietro Lunardi in provincia di
Parma, per l’esattezza a Basilicanuova. I baschi verdi stanno cercando
riscontri al pagamento (per un ammontare che oscilla fra le 100 e le
150mila euro) dei lavori affidati nel 2005 all’impresa di Diego Anemone,
che sarebbe stato presentato all’ex ministro da Angelo Balducci,
nominato proprio da Lunardi al consigliod ei lavori pubblici. La Gdf si
sarebbe messa sulle tracce di alcuni appalti «arrivati» per vie traverse
all’impresa di Anemone, ed anche su un appartamento sempre di Lunardi
in vicolo Valdina, nel centro di Roma, comprato da un ente del Vaticano
«raccomandato» da Balducci, che si sarebbe avvalso, anche qui come per
Scajola, della collaborazione dell’architetto Zampolini. Altro link che
sembra interessare le fiamme gialle, il rapporto con Anenome per
l’acquisto di alcuni terreni adiacenti lo Sport Village, il famoso
centro sportivo noto per i massaggi a Bertolaso.
E veniamo a Scajola. Il legame tra la casa acquistata a Roma dal
ministro e l’inchiesta perugina sul G8 sono ottanta assegni circolari.
Quelli che il ministro avrebbe, secondo il teorema degli inquirenti,
ricevuto dall’architetto Angelo Zampolini, legato all’imprenditore Diego
Anemone, proprio per comprarsi l’appartamento. Zampolini li avrebbe
ottenuti dalla banca dietro versamento di 900mila euro in contanti, che
secondo i magistrati avrebbe ricevuto da Anemone. Ma il notaio che
certificò la compravendita di quella casa, interrogato, sostiene di non
aver mai visto passare di mano quella cifra tra Scajola e la parte
venditrice. Conferma, insomma, che la somma pagata fosse quella
registrata, circa 600mila euro, come dice anche Scajola al Giornale.
A interrogare il notaio, che si chiama Napoleone, è lo stesso nucleo di
polizia tributaria della guardia di finanza di Roma che ha curato
l’informativa per conto della procura di Perugia, scavando sia sulla
compravendita dell’appartamento di Scajola che su altre operazioni
immobiliari che per i magistrati sarebbero riferibili ad Anemone. E gli
uomini della finanza hanno anche interrogato, il 23 marzo, Beatrice e
Barbara Papa, che vendettero la casa a Scajola e alle quali erano stati
intestati gli assegni circolari «sospetti». A differenza del notaio le
due donne «hanno in sintesi dichiarato di riconoscere gli assegni in
parola, nonché la girata delle stesse effettuata per il versamento in
banca, e che gli stessi furono consegnati loro dal ministro Claudio
Scajola all’atto della vendita, nel 2004», atto appunto «redatto dal
notaio Napoleone». Sempre a verbale, le due donne dichiarano «che
l’importo complessivo della vendita fu di euro 1.700.000, diviso tra
loro in parti uguali, in parte pagato in contanti». Sempre le fiamme
gialle annotano che proprio il ministero dello Sviluppo economico aveva
chiesto, a fine marzo, notizie sulle «irregolarità eventualmente
accertate a carico» di due società fiduciarie, la Stube e la Fidear,
legate ad Anemone e a Balducci.
Il filone di indagine che ora lambisce Scajola è quindi relativo agli
accertamenti patrimoniali su Anemone, uno dei protagonisti assoluti
dell’inchiesta sugli appalti del G8. L’indagine (ora a Perugia per il
coinvolgimento di un magistrato romano, Achille Toro) nasce sull’asse
Firenze-Roma. Nella capitale c’è il filone sugli appalti per i mondiali
di nuoto dello scorso anno. Al centro dell’attenzione degli inquirenti,
in particolare, i permessi concessi a una serie di circoli sportivi per
ampliare o costruire piscine e strutture di appoggio alla manifestazione
sportiva, che era nell’elenco dei «grandi eventi». A Firenze, invece,
si arriva a indagare sui grandi eventi partendo da intercettazioni che
riguardavano la contrastata vicenda dei cantieri fiorentini dell’area di
Castello, con indagati nella amministrazione comunale del capoluogo
toscano. Da qui, però, la rete di ascolto porta alla gara d’appalto per
il nuovo auditorium (opera prevista nell’ambito del «grande evento» dei
150 anni dell’Unità d’Italia) e per la costruzione della scuola
marescialli dell’Arma. Il passo successivo porta ai cantieri della Maddalena, che avrebbero
dovuto ospitare il G8. È da qui che emerge la rete di relazioni tra
l’imprenditore romano Anemone e il «gruppo» della Ferratella, ossia
funzionari e dirigenti del Dipartimento sviluppo e competitività del
turismo, a lungo guidato da Angelo Balducci.


Ultima modifica di jaramillo il Sab 1 Mag 2010 - 22:21 - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 22:20

Formigoni, Moratti e l’allegra finanza Pdl



E a Milano il governatore deve dare spiegazioni ai
risparmiatori.













L’ultima in ordine di tempo è la notizia dell’esposizione per 115
milioni di euro della regione Lombardia verso la Grecia. Ennesimo anello
di una lunga catena di pasticci finanziari combinati dai due
amministratori di riferimento del Pdl lombardo.
Ovvero il governatore
Roberto Formigoni e il sindaco milanese Letizia Moratti. Infortuni
finanziari che, oltre a far male alle casse dei due enti, sono la
migliore pubblicità per una Lega che gli ultimi sondaggi berlusconiani
danno in ulteriore crescita rispetto alle regionali di un mese fa.
Al
Pirellone hanno poco da esser contenti. Sul Corriere di ieri è
risaltato fuori un vecchio scoop del Sole24Ore, che già un anno fa
avvertiva degli investimenti ellenici della regione. Questi i fatti.
Nel
2002 la Lombardia ha emesso un bond da un miliardo di dollari con
scadenza nel 2032. Per arrivare a quella data con i soldi necessari per
restituire il prestito, gli uomini di Formigoni accantonano presso le
due banche d’affari Ubs e Merrill Lynch un tot di soldi ogni anno.
Questo fondo (in gergo sinking fund) a sua volta viene investito in
altri strumenti finanziari. E qui c’è l’inghippo: ben 115 milioni sono
stati usati per acquistare titoli di stato greci, oggi tutt’altro che
sicuri. Ma non solo. Nel “paniere” ci sono anche altri bond più o meno
discutibili: quelli di regioni in difficoltà finanziarie (come Lazio e
Sicilia) o di aziende dall’elevato indebitamento (come Telecom).
Insomma, il fondo non è propriamente simile a un sicuro salvadanaio.
Tanto
che i consiglieri del Partito democratico hanno invitato Formigoni a
dare spiegazioni sull’operazione, non contenti delle prime sommarie
rassicurazioni da parte del governatore.
Le disavventure finanziarie
della regione si sposano bene con quelle capitate al comune di Milano. A
partire dalla vicenda dei derivati-truffa.
Palazzo Marino ha
stipulato nel 2005 uno swap di durata trentennale, legato a un bond di
1,68 miliardi di euro.
In soli quattro anni, però, l’ente guidato
dalla Moratti ha accumulato una minusvalenza di circa 300 milioni di
euro, senza considerare i costi impliciti dell’operazione, che oscillano
tra i 73 e gli 88 milioni di euro. Una storia che ha visto l’apertura
di un’indagine della procura milanese con conseguente rinvio a giudizio
per truffa aggravata di mostri sacri della finanza come Jp Morgan,
Deutsche Bank, Ubs e la tedesca Depfa Bank. Ma i guai per la prima
cittadina milanese non finiscono qui. Perché a turbarle il sonno c’è
anche la questione della Zincar, una partecipata che doveva migliorare
lo stato dell’aria meneghina e che invece ha solo prodotto un buco di 18
milioni di euro ed è fallita.
Anche stavolta è subito arrivata la
magistratura: il crack Zincar è al centro di una inchiesta del
procuratore aggiunto Alfredo Robledo, lo stesso che ha portato in
tribunale le quattro merchant bank per i derivati.
A questo punto non
è difficile immaginare che gli echi mediatici delle grane finanziare
causate dal Pdl lombardo siano uno dei fattori che sopra il Po affossano
il partito di Berlusconi e invece premiano quelli di Bossi. Del resto,
lo stesso Cavaliere ha fatto sapere che gli ultimi sondaggi in suo
possesso testimoniano una crescita vertiginosa del Carroccio, proprio a
scapito del suo partito. Confermando e avvalorando il trend che già s’è
manifestato nelle ultime elezioni. Alle regionali, infatti, s’è
verificato una specie di pareggio: in Piemonte, Lombardia e Veneto la
Lega risulta inferiore al Pdl di soli 152 mila voti. E adesso mette la
freccia.




Gianni
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MessaggioTitolo: Re: Le notizie di jara   Le notizie di jara - Pagina 20 Icon_minitimeSab 1 Mag 2010 - 22:23

1/5/2010
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Wall Street, la regola
dell'immoralità
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FRANCESCO GUERRERA
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Memorizzate questa data:
il ventidue giugno dell’anno 2007 – il giorno in cui Wall Street fece
cadere il velo e mostrò il suo aspetto più becero e meschino.
Alle 16,32 di quel fatidico pomeriggio, Tom Montag, all’epoca uno dei
dirigenti della Goldman Sachs, mandò un’email ad un collega nella
prestigiosissima banca d’affari.
Montag, come tutti i grandi banchieri, era presissimo e la sua missiva
consisteva di una sola riga: «Ragazzi, l’Obbligazione Lupo è stata
proprio merdosa». Quelle sette parole inglesi potrebbero diventare il
motto di un modo di interpretare l’alta finanza che è stato una delle
cause dell’implosione dell’economia mondiale e dell’enorme crisi di
fiducia nel settore bancario.

Vi risparmio la descrizione della complicatissima Obbligazione Lupo: vi
basti sapere che si trattava di un titolo pieno di mutui «subprime» che
crollò in valore dopo pochi mesi quando gli indigenti debitori smisero
di pagare. Il dettaglio fondamentale, però, è che la Goldman vendette un
miliardo di dollari di queste obbligazioni a investitori - intascando
milioni in commissioni - nonostante l’opinione scatologica del Signor
Montag.

Ma non è finita. Grazie alle investigazioni di un gruppo di
agguerritissimi senatori americani, sappiamo che la Goldman non solo
creò e smistò un prodotto «sospetto», ma ci scommise pure contro,
comprando dei contratti che le garantivano dei pagamenti ogni volta che
il titolo perdeva valore.

Per ricapitolare: mentre gli investitori in Timberwolf stavano
rimettendoci centinaia di milioni di dollari (uno dei fondi
d’investimento andò persino in bancarotta), la Goldman ci guadagnava di
suo. Altro che Lupo: i cervelloni della banca d’affari
quell’obbligazione l’avrebbero dovuta chiamare Squalo.

Bisogna dire che la condotta della Goldman non è illegale – anche se la
società è stata accusata di frode dall’authority americana per un’altra
obbligazione molto simile a Lupo (Goldman nega quelle accuse). Anzi, i
banchieri della Goldman non si stancano mai di ripetere che non hanno
mai avuto nessun dovere di dire ai clienti quello che pensano dei titoli
che gli vendono.

In questo hanno ragione: nel mondo della finanza americana «caveat
emptor» è una delle regole immutabili. I fondi d’investimento che si
sono fatti azzannare dall’Obbligazione Lupo sarebbero dovuti stare più
attenti a quello che compravano. Ma alla luce degli eventi epocali del
2007-2009, una spiegazione strettamente legale non basta più. Dopo aver
partecipato a follie finanziarie che sono costate miliardi di dollari e
milioni di posti di lavoro, la domanda da porre a Wall Street è di
natura morale, non legale. È etico per una banca mettere i propri
interessi al di sopra di quelli dei suoi clienti? È giusto per un
venditore mettere in vetrina prodotti che sa che sono marci? Per Goldman
- e molte altre banche - la risposta è sì. Se i clienti vogliono un
prodotto, loro glielo vendono - per una bella commissione - senza tante
remore e crisi di coscienza, salvo riservarsi il diritto di fare dei
soldi scommettendoci contro.

Per gran parte della gente e la classe politica la risposta è no. Come
ha detto il senatore repubblicano John Ensign, che di scommesse se ne
intende visto che viene dal Nevada, durante un’udienza parlamentare con
dirigenti della Goldman questa settimana: «Las Vegas si dovrebbe
offendere quando viene paragonata a Wall Street: a Las Vegas gli
scommettitori conoscono le loro probabilità di vittoria, voi invece
manipolate le probabilità a partita in corso».

Un casinò truccato dove il banco vince sempre. Se questa è l’immagine
del sistema finanziario più grande e sofisticato del mondo, non bisogna
essere uno dei geni matematici che hanno inventato Timberwolf per capire
che Wall Street ha un problema serio.
Un problema che non scomparirà da solo e certo non viene risolto dallo
spettacolo a cui ho assistito martedì: 11 ore di colloquio tra capi
della Goldman e senatori e nemmeno una traccia di pentimento nelle facce
o nelle parole dei banchieri.

Lloyd Blankfein, l’amministratore delegato della Goldman che nel 2007,
l’anno di Timber-wolf, si portò a casa 68 milioni di dollari, l’ha detto
chiaro e tondo ai senatori che protestavano che una banca che vende
prodotti con una mano e scommette con i suoi soldi con l’altra è al
centro di gravi conflitti d’interesse. «Non ci vedo nulla di male», ha
detto martedì. Ogni crisi finanziaria ha le sue vittime e i suoi
carnefici e la Grande Recessione degli anni 2007-2009 non fa eccezione.
Le vittime le conosciamo bene: gli americani medi convinti che i prezzi
delle case non sarebbero caduti mai, che avere sette carte di credito,
quattro macchine e cinque televisori fosse normale e che il «sogno
americano» di prosperità infinita non si sarebbe mai infranto.

I carnefici sono anch’essi molti e molto noti (una classe politica,
spronata dal banchiere centrale Alan Greenspan, che s’innamorò della
deregulation; agenzie di credito che chiusero gli occhi; e investitori
accecati dalla chimera dei soldi facili). Ma se le banche continuano a
negare l’evidenza saranno le uniche a pagare per colpe non tutte loro.
L’ostinazione e l’arroganza di un banchiere milionario che dice: «Non
c’è niente di male» non aiuta né la sua banca né un settore che, al
momento, è meno rispettato dei venditori di auto usate (e perfino dei
giornalisti...).

Le riforme stanno arrivando a grande velocità con un bel carico di
populismo acchiappa-voti - non è un caso che le accuse di frode contro
Goldman siano state annunciate proprio quando l’amministrazione Obama
stava avendo difficoltà a convincere i repubblicani a passare la legge
che ridisegnerà il sistema finanziario Usa.

La «regola Volcker» - che prende il nome dal vecchio capo della Federal
Reserve e proibisce alle banche di usare fondi propri per comprare e
vendere titoli e investire in società - sarà sicuramente approvata e
banche come la Goldman (ma anche rivali come la Morgan Stanley e la
JPMorgan) dovranno dire addio a miliardi di utili. E forse è questa la
soluzione più giusta ai problemi di Wall Street: lasciare dei soldi sul
tavolo - come dicono i banchieri quando non riescono ad estrarre la
commissione più alta possibile da un cliente - e in cambio evitare
misure draconiane e punitive che potrebbero mettere a rischio il futuro
di uno dei settori più importanti dell’economia statunitense.

Abbandonare i mercati rischiosi ma redditizi di prodotti complessi ed
esotici, dei titoli tipo Timberwolf e delle scommesse con i propri soldi
non sarà facile per banchieri, banche e investitori che si sono
abituati a utili altissimi e bonus principeschi.

Il «ritorno al futuro» - al ruolo di banche come intermediarie di flussi
monetari tra compratori e venditori piuttosto che protagoniste di
azioni finanziarie con capitale proprio - non sarà facile soprattutto
perché questi tipi di servizi non sono molto remunerativi. L’alternativa
però è essere al centro del tifone del dopo-crisi - identificati come
colpevoli da una classe politica che è praticamente obbligata ad
infierire sui banchieri e le loro società per soddisfare la sete di
sangue di un pubblico arrabbiato. Dopo tanti anni di caveat emptor,
sarebbe utile per Wall Street adottare la regola del «caveat venditor».

*Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario per il Financial
Times a New York.
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