Ancor prima che scoppiassero le bolle speculative sulle case, sui prodotti petroliferi e sui generi alimentari, si gonfiava già da tempo la bolla sull'oro, il bene rifugio per eccellenza. Infatti, un semplice sguardo al diagramma della quotazione del metallo prezioso fa sorgere fortemente il sospetto che siano in atto vaste azioni speculative a far data almeno dal 2002, ossia in seguito allo scoppio della bolla speculativa della new economy (grafico 1), con una rivalutazione del prezzo di mercato di oltre il 340% negli ultimi sei anni, che è cresciuto in media di oltre il 50% l'anno. Come è ormai noto, agli inizi del nuovo millennio i capitali speculativi che fuggivano dai mercati della new economy si sono diretti verso altri mercati: prima verso quello immobiliare, il cui scoppio della bolla nell'agosto del 2007 ha portato all'attuale crisi finanziaria; in seguito quello del petrolio e dei generi alimentari, le cui bolle sono scoppiate a novembre del 2008 e hanno contribuito notevolmente ad aggravare la situazione economica mondiale; quindi, verso quello dei metalli preziosi, dell'oro in primo luogo, che diversamente dagli esiti delle altre bolle continua a gonfiarsi, comportando l'innalzamento del prezzo dell'oro molto vicino ai 1000 dollari per oncia di fino. Oggi, quindi, in seguito allo scoppio ravvicinato delle bolle sulle materie prime e con i settori economici in crisi, agli speculatori non resta altra via da seguire se non dirigersi verso il mercato dell'oro e dei metalli preziosi che ancora può garantire loro lauti guadagni. Grafico 1 - quotazione del prezzo dell'oro in dollari usa per oncia troy, dal 1992 a oggi Fonte: Financial Times Anche in seguito all'attuale crisi mondiale, che ha investito tutti i paesi sia avanzati che meno avanzati, con ripercussioni che si protrarranno ancora a lungo, è ormai diffuso il convincimento che la speculazione permette di arricchire pochi furbi a spese di tutta l'economia mondiale. Finalmente, le conclusioni a cui sono giunti i numerosi incontri internazionali (dal Financial Stability Forum, ai vari G7+1 e infine all'incontro dei grandi europei di Berlino del 22 ultimo scorso, in preparazione del G20 di Londra) si è arrivati alla conclusione che le azioni speculative vanno ostacolate con ogni mezzo. Gli ostacoli alla speculazione chiamano necessariamente in causa la vigilanza su tutti i mercati, nessuno escluso, da parte degli organismi finanziari internazionali preposti, quali il Fondo Monetario Internazionale e il Financial Stability forum, ma anche le banche centrali nazionali, la Bce e la Federal Reserve e, infine, le agenzie di controllo delle borse. Però la vigilanza non è sufficiente, poiché al momento in cui si identifica una dinamica speculativa, la si deve contrastare sul nascere con azioni sì tempestive, ma soprattutto coordinate a livello mondiale. Infatti, azioni scollegate e schizofreniche non farebbero altro che creare comportamenti protezionistici deleteri, che non produrrebbero comunque gli effetti desiderati sulla speculazione. L'identificazione di una bolla speculativa passa per l'osservazione delle variabili economiche fondamentali. Se l'andamento della domanda (in aumento) e dell'offerta (in diminuzione) non sono tali da giustificare un incremento repentino del prezzo di mercato, in quel caso occorre vigilare con attenzione in quanto può annidarsi un andamento speculativo. Ciò è avvenuto nel mercato dell'oro dai primi anni del secondo millennio. Se si considera la produzione mineraria mondiale (grafico 2), infatti, è evidente che non si è affatto in presenza di un crollo dell'offerta, che potrebbe giustificare un aumento repentino del prezzo di mercato. Al contrario essa è andata via via crescendo nel tempo rallentando leggermente e non significativamente negli ultimi anni in cui è aumentato più rapidamente il prezzo di mercato. Secondo il World Gold Council (WGC), la produzione mineraria (che nel 2007 era pari a 2.380 tonnellate) rappresenta il 60% della disponibilità di oro sul mercato, alla quale contribuiscono anche per il 14% le vendite delle riserve auree delle banche centrali e la vendita di «oro riciclato», ossia riutilizzato, per il 26%. Grafico 2 - Produzione mineraria mondiale di oro ( in tonnellate l'anno) Passando alla domanda, sempre secondo il WGC, essa è costituita in gran parte (circa il 70%) dalla quota destinata alla produzione di monili e gioielli. Una componente minore (circa il 10%) è per uso industriale (l'oro è utilizzato prevalentemente per i componenti elettronici, data la sua elevata conduttività e resistenza alle corrosioni) e sanitario-dentistico, mentre la quota rimanente (del 20% circa) è relativa agli investimenti. Se si analizza l'andamento di tutte le componenti di domanda si evince che in questi anni recenti si è ridotta la domanda per usi industriali (dal 2007 al 2008 del 7%) e ancor di più si è contratta la domanda di oro destinato alla produzione della gioielleria (-11%). Al contrario è aumentata sensibilmente la domanda di oro per investimenti (+64%), ossia da destinare alla tesorizzazione privata in lingotti (con l'esclusione delle riserve delle banche centrali), per il conio ufficiale di monete e per la produzione di medaglie. Un ruolo a parte rivestono le riserve auree delle banche centrali (grafico 3). Attualmente la Federal Reserve detiene la maggior quantità di oro tra i paesi industrializzati del G7+1, seguita dalla Germania, dalla Francia e dall'Italia. Il ruolo delle riserve auree è andato modificandosi col tempo. Durante il Gold exchange standard il dollaro doveva mantenere una convertibilità esterna con l'oro e la banca centrale americana doveva detenere una quantità di riserve tale da poter garantire la conversione esterna della sua moneta. Nell'agosto del 1971 Richard Nixon sospese la convertibilità esterna con l'oro e la moneta americana divenne completamente fiduciaria. Il sistema dei cambi valutari fissi stabilito a Bretton Woods nel 1944 saltò e quindi la circolazione monetaria di ogni paese non ebbe più il vincolo di equilibrio della bilancia dei pagamenti. Da allora la moneta è divenuta ovunque del tutto fiduciaria e le sue variazioni quantitative sono demandate ai governi e per essi alle banche centrali. Unica eccezione è la Banca centrale europea, indipendente dai parlamenti e dai governi. In seguito alla rottura del sistema dei cambi fissi, le riserve auree hanno cessato il loro ruolo di garanzia per la convertibilità del circolante e sono diventate un capitale a disposizione delle Banche centrali. Pertanto, in questo momento, potrebbero anche essere utilizzate come uno strumento per la lotta alla speculazione, oltre che come mezzo efficace per ridurre sensibilmente il debito pubblico. Grafico 3 L'insieme delle riserve auree delle banche centrali, secondo il World Gold Council, è pari a circa il 18% dello stock di oro esistente nel mondo. Se ne deduce che le Banche centrali potrebbero incidere fortemente sull'andamento del prezzo di mercato dell'oro e potrebbero agire, quindi, per contrastare la crescente speculazione, mediante un accordo tra loro. Infatti, la vendita di parte delle riserve auree di tutte o delle principali banche centrali farebbe crollare repentinamente il prezzo. Al limite, non sarebbe nemmeno necessario effettuare materialmente la vendita, in quanto l'effetto sul prezzo si avrebbe già dal momento dell'annuncio dell'accordo. L'effetto che si vorrebbe ottenere dovrebbe essere quello di una riduzione del prezzo dell'oro, e quindi un crollo dei guadagni da speculazione, fino al punto che il prezzo di mercato ritorni ad essere espressione della domanda e dell'offerta reali. Il prezzo dell'oro coerente con tale obbiettivo potrebbe essere quello precedente alla bolla speculativa, attualizzato per gli anni intercorsi per tenere conto della perdita del potere d'acquisto della moneta di riferimento, ossia del dollaro. Un semplice calcolo di prima approssimazione indica che il prezzo dell'oro dovrebbe aggirarsi al massimo intorno ai 150 dollari per oncia di fino. |